Imagine Dragons:l’urlo dei 65 milainfiamma Milano

Imagine Dragons:l’urlo dei 65 milainfiamma Milano

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di Matteo Cruccu

I quattro cavalieri americani del pop al tempo di Spotify, all’Ippodromo, cominciano con una delle loro prime hit «It’s time», seguita dal loro inno, «Believer»

«Dove c’e l’oscurità, c’è anche la luce» l’auspicio è di quelli buoni, la mozione dei sentimenti del resto è la loro cifra di sempre: p arte così uno dei concerti che segna il ritorno a Milano, dopo la lunga traversata nel deserto del Covid, dei grandi eventi internazionali all’aperto Il contesto è l’I-Days Festival, loro sono gli Imagine Dragons, i quattro cavalieri americani del pop al tempo di Spotify, forse la band che ha segnato piu di ogni altra questi magmatici anni Dieci, finiti di fatto da poco visto che due se li è mangiati il Covid. Nella bella area attrezzata dell’Ippodromo, in 65.000 dunque accolgono Dan Reynolds (voce sempre cristallina, la sua) e gli altri tre sulle note di una delle loro prime hit «It’s Time», subito seguita dal loro inno, vera cifra del loro sound onnivoro, elettronica, Coldplay e rocknroll, «Believer».

Lo show lungo due ore

È l’inizio scoppiettante di uno show lungo due ore, dove scorreranno le varie anime di questa band: da «Thunder» a «Demons», da «Natural» alla martellante «RadioActive». Han detto che avevano resuscitato il rock, gli Imagine: no, questo è pop, musica pensata per il pubblico e nelle parole- abitudini, paure e pensieri degli ordinary men, le persone di tutti i giorni. E nei suoni, decisamente onnivori, non declinati a nessuna chiesa di genere e tantomeno a qualsivoglia sottocultura. E alla gente piace, a quelli cresciuti negli anni Dieci — ma ci sono anche più anziani e più giovani — che cantano insieme a questo Alessandro Cattelan solo un poco più palestrato, unito al nostro anche lui da ques’aria di «campione della normalità». E, sì, sembra dirigere l’orchestra dei 65 mila, per poi buttarcisi letteralmente in mezzo, Reynolds, figlio di mormoni che si è emancipato dalla fede per tuffarsi nella nequizie di Las Vegas. E poi riemergere come aedo dei buoni propositi. Intanto si fa buio sulla periferia di Milano, mentre scorre la cover di «Forever Young» vecchio pezzo degli Alphaville e poi la Draghiana, nel senso che la frase piaceva tanto al nostro Premier, «Whatever It Takes».

Le fan in delirio

Le fan, stregate dal Cattelan- Reynolds, intonano «sei bellissimo» lui risponde «Celebriamo la vita» e attacca «It’s ok», va tutto bene. Con «Enemy» lo show volge verso le battute finali in attesa della gran conclusione: immagini naturalistiche scorrono sullo sfondo, potrebbero essere accompagnate da un testo di Paulo Coelho (o il nostro Fabio Volo). E fanno da preludio alla medley conclusiva aperta da «Walking the Wire», con tanto di esplosione di coriandoli. «Warriors» è il passante che conduce a «Radioactive», la loro hit forse più celebre, al comando nelle classifiche per tantissime settimane: Reynolds si congeda al piano, mentre partono i fuochi artificiali, forse l’unica concessione al kitsch da stardom del rocknroll di tutto il concerto. Si chiude, tranquillamente, normalmente. Come è normale finalmente, dopo la surrealtà orribile dei tempi del Covid, vedere un concerto in mezzo a 65.000 persone.

11 giugno 2022 (modifica il 12 giugno 2022 | 05:42)

© RIPRODUZIONE RISERVATA

, 2022-06-12 03:42:00,

di Matteo Cruccu

I quattro cavalieri americani del pop al tempo di Spotify, all’Ippodromo, cominciano con una delle loro prime hit «It’s time», seguita dal loro inno, «Believer»

«Dove c’e l’oscurità, c’è anche la luce» l’auspicio è di quelli buoni, la mozione dei sentimenti del resto è la loro cifra di sempre: p arte così uno dei concerti che segna il ritorno a Milano, dopo la lunga traversata nel deserto del Covid, dei grandi eventi internazionali all’aperto Il contesto è l’I-Days Festival, loro sono gli Imagine Dragons, i quattro cavalieri americani del pop al tempo di Spotify, forse la band che ha segnato piu di ogni altra questi magmatici anni Dieci, finiti di fatto da poco visto che due se li è mangiati il Covid. Nella bella area attrezzata dell’Ippodromo, in 65.000 dunque accolgono Dan Reynolds (voce sempre cristallina, la sua) e gli altri tre sulle note di una delle loro prime hit «It’s Time», subito seguita dal loro inno, vera cifra del loro sound onnivoro, elettronica, Coldplay e rocknroll, «Believer».

Lo show lungo due ore

È l’inizio scoppiettante di uno show lungo due ore, dove scorreranno le varie anime di questa band: da «Thunder» a «Demons», da «Natural» alla martellante «RadioActive». Han detto che avevano resuscitato il rock, gli Imagine: no, questo è pop, musica pensata per il pubblico e nelle parole- abitudini, paure e pensieri degli ordinary men, le persone di tutti i giorni. E nei suoni, decisamente onnivori, non declinati a nessuna chiesa di genere e tantomeno a qualsivoglia sottocultura. E alla gente piace, a quelli cresciuti negli anni Dieci — ma ci sono anche più anziani e più giovani — che cantano insieme a questo Alessandro Cattelan solo un poco più palestrato, unito al nostro anche lui da ques’aria di «campione della normalità». E, sì, sembra dirigere l’orchestra dei 65 mila, per poi buttarcisi letteralmente in mezzo, Reynolds, figlio di mormoni che si è emancipato dalla fede per tuffarsi nella nequizie di Las Vegas. E poi riemergere come aedo dei buoni propositi. Intanto si fa buio sulla periferia di Milano, mentre scorre la cover di «Forever Young» vecchio pezzo degli Alphaville e poi la Draghiana, nel senso che la frase piaceva tanto al nostro Premier, «Whatever It Takes».

Le fan in delirio

Le fan, stregate dal Cattelan- Reynolds, intonano «sei bellissimo» lui risponde «Celebriamo la vita» e attacca «It’s ok», va tutto bene. Con «Enemy» lo show volge verso le battute finali in attesa della gran conclusione: immagini naturalistiche scorrono sullo sfondo, potrebbero essere accompagnate da un testo di Paulo Coelho (o il nostro Fabio Volo). E fanno da preludio alla medley conclusiva aperta da «Walking the Wire», con tanto di esplosione di coriandoli. «Warriors» è il passante che conduce a «Radioactive», la loro hit forse più celebre, al comando nelle classifiche per tantissime settimane: Reynolds si congeda al piano, mentre partono i fuochi artificiali, forse l’unica concessione al kitsch da stardom del rocknroll di tutto il concerto. Si chiude, tranquillamente, normalmente. Come è normale finalmente, dopo la surrealtà orribile dei tempi del Covid, vedere un concerto in mezzo a 65.000 persone.

11 giugno 2022 (modifica il 12 giugno 2022 | 05:42)

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, Matteo Cruccu

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