In difesa della nostra costituzione

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Mezzogiorno, 7 agosto 2022 – 08:35 di Mario Rusciano Intervistata da una televisione americana, Giorgia Meloni ha dichiarato, in corretta lingua inglese, che sarebbe un grande onore essere la prima donna italiana Presidente del Consiglio. Il problema è che il grande onore della signora Meloni potrebbe essere un grosso rischio storico per il Paese. Non per il rischio del fascismo – pur non mancando qualche analogia col 1922 – ma per alcuni punti del progetto politico di Meloni, che Berlusconi e Salvini hanno subito condiviso. Forse non tanto convinti, visto che parlano agli elettori ognuno del proprio progetto. Esemplare la rapidità con cui i tre partiti di destra hanno concluso l’accordo: più elettorale che di governo. Permangono infatti tra loro tali ambiguità da condizionare il futuro fino a rendere forse vana la consultazione. Si pensi all’avere Salvini e Berlusconi sostenuto il Governo Draghi (e il relativo programma basato sul Pnrr) con Meloni all’opposizione. Ma è consuetudine della destra trasformare magicamente il contrasto di ieri nell’accordo di oggi. Memorabile il famoso «contratto di governo» tra Salvini e Di Maio (primo governo Conte) che lasciò a terra Berlusconi e Meloni. Eppure oggi s’accusa il centro-sinistra di accordarsi solo per sconfiggere la destra. Ma loro non si sono accordati per sconfiggere il centro-sinistra e andare al governo grazie ai soli sondaggi di FdI? Forse le varie componenti di centro e sinistra potrebbero seguire l’esempio della destra nella tattica elettorale anziché spaccare il capello e trascurare, sondaggi alla mano, il loro scarso peso politico. Non assisteremmo al tira e molla tra Calenda, Fratoianni, Conte, Renzi, Di Maio ecc. L’incrocio dei veti e l’accavallarsi di liste e listini vanno a vantaggio della destra e dell’astensionismo (che pure premia la destra). A parte le tattiche della destra – dimenticanza furbesca di sovranismo, antieuropeismo e discorso spagnolo di Meloni – guardiamo le strategie in prospettiva. Superiamo financo l’ipocrisia della destra di giurare, se andasse al governo, su una Costituzione che non conosce e non apprezza. Per esempio Salvini, se conoscesse l’art. 92 Cost. – «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri» (co.2) – non insisterebbe sulla designazione dei ministri prima delle elezioni. Sembra, ma non è, un aspetto soltanto formale. Poco credibile un giuramento sulla Costituzione di chi non solo non ne riconosce valori fondamentali – libertà civili; eguaglianza sostanziale; coesione e solidarietà sociale; progressività fiscale ecc. – ma vorrebbe addirittura sovvertirne la struttura istituzionale. È questo l’enorme problema da porre a quel che resta della coscienza d’indecisi e astensionisti di centro-sinistra. È inutile porlo alla coscienza degli sparuti cespugli, sia di centro sia di sinistra (tra cui il risorto de Magistris), che sperano d’arrivare al 3% solo per «sistemarsi» col seggio in Parlamento. Parliamo allora della conseguenza provocata dalla folle riduzione dei parlamentari (nessuno lo rinfaccia al M5S) senza riscrivere l’altrettanto folle legge elettorale. Parliamo cioè del rischio che l’eventuale maggioranza parlamentare della destra possa, da sola, cambiare la Costituzione. Immaginiamo lo scenario: mentre Berlusconi sonnecchia – sognando un «nuovo miracolo italiano» (fatto come sempre da lui?) – Giorgia Meloni realizza la sua «Repubblica presidenziale» e Matteo Salvini realizza la sua tanto agognata «autonomia differenziata». Le due riforme si potrebbero congiungere nell’unico grande disastro italiano. L’autonomia differenziata, l’abbiamo detto e ridetto, si tradurrebbe inevitabilmente nella definitiva separazione tra Nord e Sud: s’intuisce a vantaggio di chi. Altro che eguaglianza, coesione e solidarietà. Quanto al progetto di Repubblica presidenziale, chi se ne fa portatore – al contrario dei lungimiranti Padri Costituenti – non conosce, o finge di non conoscere, gl’italiani. Il cui tratto antropologico contrasta col concetto stesso di Repubblica presidenziale. Dopo un paio di legislature condizionate dal populismo, se non si vuole il caos – peraltro assai probabile – impossibile ignorare suggestioni, spinte emotive, groviglio d’interessi che hanno guidato le ultime scelte elettorali dall’inizio del secolo. Certo, nessuno pensa di disconoscere il gioco democratico, costi quel che costi. Ma proprio per questo occorre difendere istituzioni di garanzia capaci di regolarne la partita. Senza dubbio adesso la società italiana si presenta più «liquida» che mai, specie nell’assenza di forti partiti strutturati, non a caso chiamati «corpi intermedi», destinati appunto a mediare fra autorità dello Stato e solitudine dell’individuo. Lo dimostra il moltiplicarsi di finti partiti dello «zero virgola». Di qui la necessità di un «saggio» Capo dello Stato, la cui funzione di garante è disegnata dalla Costituzione sull’identikit di una persona dotata di alti valori, ideali e senso dell’istituzione che rappresenta, sì da ergersi ad arbitro super partes . Si sa: la funzione dell’arbitro è per sua natura elastica. Se i giocatori giocano correttamente, l’arbitro guarda e tace; se invece giocano con continui falli fischia e interviene frequentemente. In definitiva lo tengano a mente i duellanti nel centro-sinistra: la partita del 25 settembre non è solo tra destra e sinistra ma anzitutto tra Repubblica costituzionale e Stato ingovernabile. 7 agosto 2022 | 08:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-08-07 06:36:00, Mezzogiorno, 7 agosto 2022 – 08:35 di Mario Rusciano Intervistata da una televisione americana, Giorgia Meloni ha dichiarato, in corretta lingua inglese, che sarebbe un grande onore essere la prima donna italiana Presidente del Consiglio. Il problema è che il grande onore della signora Meloni potrebbe essere un grosso rischio storico per il Paese. Non per il rischio del fascismo – pur non mancando qualche analogia col 1922 – ma per alcuni punti del progetto politico di Meloni, che Berlusconi e Salvini hanno subito condiviso. Forse non tanto convinti, visto che parlano agli elettori ognuno del proprio progetto. Esemplare la rapidità con cui i tre partiti di destra hanno concluso l’accordo: più elettorale che di governo. Permangono infatti tra loro tali ambiguità da condizionare il futuro fino a rendere forse vana la consultazione. Si pensi all’avere Salvini e Berlusconi sostenuto il Governo Draghi (e il relativo programma basato sul Pnrr) con Meloni all’opposizione. Ma è consuetudine della destra trasformare magicamente il contrasto di ieri nell’accordo di oggi. Memorabile il famoso «contratto di governo» tra Salvini e Di Maio (primo governo Conte) che lasciò a terra Berlusconi e Meloni. Eppure oggi s’accusa il centro-sinistra di accordarsi solo per sconfiggere la destra. Ma loro non si sono accordati per sconfiggere il centro-sinistra e andare al governo grazie ai soli sondaggi di FdI? Forse le varie componenti di centro e sinistra potrebbero seguire l’esempio della destra nella tattica elettorale anziché spaccare il capello e trascurare, sondaggi alla mano, il loro scarso peso politico. Non assisteremmo al tira e molla tra Calenda, Fratoianni, Conte, Renzi, Di Maio ecc. L’incrocio dei veti e l’accavallarsi di liste e listini vanno a vantaggio della destra e dell’astensionismo (che pure premia la destra). A parte le tattiche della destra – dimenticanza furbesca di sovranismo, antieuropeismo e discorso spagnolo di Meloni – guardiamo le strategie in prospettiva. Superiamo financo l’ipocrisia della destra di giurare, se andasse al governo, su una Costituzione che non conosce e non apprezza. Per esempio Salvini, se conoscesse l’art. 92 Cost. – «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri» (co.2) – non insisterebbe sulla designazione dei ministri prima delle elezioni. Sembra, ma non è, un aspetto soltanto formale. Poco credibile un giuramento sulla Costituzione di chi non solo non ne riconosce valori fondamentali – libertà civili; eguaglianza sostanziale; coesione e solidarietà sociale; progressività fiscale ecc. – ma vorrebbe addirittura sovvertirne la struttura istituzionale. È questo l’enorme problema da porre a quel che resta della coscienza d’indecisi e astensionisti di centro-sinistra. È inutile porlo alla coscienza degli sparuti cespugli, sia di centro sia di sinistra (tra cui il risorto de Magistris), che sperano d’arrivare al 3% solo per «sistemarsi» col seggio in Parlamento. Parliamo allora della conseguenza provocata dalla folle riduzione dei parlamentari (nessuno lo rinfaccia al M5S) senza riscrivere l’altrettanto folle legge elettorale. Parliamo cioè del rischio che l’eventuale maggioranza parlamentare della destra possa, da sola, cambiare la Costituzione. Immaginiamo lo scenario: mentre Berlusconi sonnecchia – sognando un «nuovo miracolo italiano» (fatto come sempre da lui?) – Giorgia Meloni realizza la sua «Repubblica presidenziale» e Matteo Salvini realizza la sua tanto agognata «autonomia differenziata». Le due riforme si potrebbero congiungere nell’unico grande disastro italiano. L’autonomia differenziata, l’abbiamo detto e ridetto, si tradurrebbe inevitabilmente nella definitiva separazione tra Nord e Sud: s’intuisce a vantaggio di chi. Altro che eguaglianza, coesione e solidarietà. Quanto al progetto di Repubblica presidenziale, chi se ne fa portatore – al contrario dei lungimiranti Padri Costituenti – non conosce, o finge di non conoscere, gl’italiani. Il cui tratto antropologico contrasta col concetto stesso di Repubblica presidenziale. Dopo un paio di legislature condizionate dal populismo, se non si vuole il caos – peraltro assai probabile – impossibile ignorare suggestioni, spinte emotive, groviglio d’interessi che hanno guidato le ultime scelte elettorali dall’inizio del secolo. Certo, nessuno pensa di disconoscere il gioco democratico, costi quel che costi. Ma proprio per questo occorre difendere istituzioni di garanzia capaci di regolarne la partita. Senza dubbio adesso la società italiana si presenta più «liquida» che mai, specie nell’assenza di forti partiti strutturati, non a caso chiamati «corpi intermedi», destinati appunto a mediare fra autorità dello Stato e solitudine dell’individuo. Lo dimostra il moltiplicarsi di finti partiti dello «zero virgola». Di qui la necessità di un «saggio» Capo dello Stato, la cui funzione di garante è disegnata dalla Costituzione sull’identikit di una persona dotata di alti valori, ideali e senso dell’istituzione che rappresenta, sì da ergersi ad arbitro super partes . Si sa: la funzione dell’arbitro è per sua natura elastica. Se i giocatori giocano correttamente, l’arbitro guarda e tace; se invece giocano con continui falli fischia e interviene frequentemente. In definitiva lo tengano a mente i duellanti nel centro-sinistra: la partita del 25 settembre non è solo tra destra e sinistra ma anzitutto tra Repubblica costituzionale e Stato ingovernabile. 7 agosto 2022 | 08:35 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

Pietro Guerra

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