di Marco Imarisio
Dall’inizio della guerra le fiamme hanno avvolto diversi impianti. Se non è colpa del nemico sono malfunzionamenti imbarazzanti: spesso lo Stato tace
Solo un altro piccolo incendio. L’ultimo di una serie che comincia a essere lunga. La scorsa mattina, le fiamme che si sono sviluppate in una centralina elettrica dell’Istituto centrale di Aero-idrodinamica Zhukovsky, nella regione di Mosca, si sono estese per appena trenta metri quadrati. Senza fare grandi danni, ma creando una densa una colonna di fumo difficile da ignorare anche per i media della capitale, che infatti sono stati obbligati a darne notizia.
Come al solito, da qui in poi è tutta terra incognita. Qualche media internazionale ha subito evocato l’ennesimo incidente avvenuto in un obiettivo strategico russo, anche se per dovere di cronaca va ricordato come lo Zhukovsky sia ormai una vecchia gloria. Ben lontano dall’essere il principale centro aerospaziale russo, il Centro aperto oltre un secolo fa, che dal 1935 al 1947 portò il nome dell’operaio modello Alexey Stachanov, oggi è un luogo in teoria deputato alla sperimentazione dei prototipi di sommergibile e di aerei, che negli ultimi anni si è dedicato allo sviluppo degli elicotteri ad alta velocità.
Non sarà la Cape Canaveral russa, non sarà stato certo un rogo immane, ma è pur vero che si stratta della sesta volta che un episodio simile accade in luoghi che rivestono una certa importanza strategica, per quanto formale. Il mese scorso era toccato al polo industriale di Korolyov, sempre alle porte di Mosca, che ospita numerosi stabilimenti legati alla produzione di energia e componentistica aerospaziale, tra cui il Centro scientifico russo dedicato allo sviluppo di razzi e veicoli spaziali, e RKK Energija, ovvero la società che si occupa di attività correlate al volo spaziale, e prima ancora si erano verificati altri due incendi all’Istituto di ricerca per la difesa aerospaziale a Tver, il più danneggiato, e un altro quasi in simultanea all’impianto chimico Dmitrievsky di Kineshma, che lavora a stretto contatto con il ministero della Difesa.
E ogni volta, dall’esterno viene attribuita a questi episodi una importanza quasi simbolica. Anche ieri le immagini del rogo sono state mostrate con una certa soddisfazione da diversi canali social ucraini, che le hanno considerate come la prova di una azione di sabotaggio in corso sul territorio russo, teoria adombrata anche da qualche ospite dei soliti talk show di propaganda, che nella loro tendenza a non dare mai alcuna notizia negativa, preferiscono dare la colpa al nemico invisibile piuttosto che riconoscere il malfunzionamento di gangli vitali dello stato russo. Mancherà sempre la controprova, quindi si può dire di tutto. Quel che succede a Belgorod, con le strane esplosioni che si susseguono nella città a soli 39 chilometri dall’Ucraina, rientra nel canone di una guerra segreta di confine a bassa intensità.
Questi invece sono fatti diversi. L’unica volta che è stato tirato per i capelli a commentare uno di questi episodi, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov si era limitato a dire che nessuna ipotesi era esclusa, e tanto bastò per validare le interpretazioni più disparate. Alla fine dello scorso aprile, l’incendio che distrusse l’Istituto di Difesa aerospaziale di Tver venne messo in conto dai media di Stato alle conseguenze dello scandalo che aveva travolto i vertici dell’ente, accusati di assumere «anime morte», persone che lavoravano per finta, allo scopo di intascare stipendi veri. Una truffa da 300 milioni di rubli, quasi 4 milioni di euro, che qualcuno avrebbe voluto spegnere con il fuoco.
La diversità degli eventuali obiettivi, la cui importanza viene spesso amplificata dai media occidentali, rende molto difficile dare credito all’esistenza di uno scenario in stile iraniano, con le centrali nucleari boicottate dagli agenti segreti israeliani fino al punto di far quasi fallire le ambizioni all’uranio di Teheran. Ma è pur vero che le autorità russe si trovano alle prese con un dilemma. O si tratta di sabotaggio, oppure pezzi importanti dello Stato danno segni di estrema vulnerabilità, con una frequenza sempre più intensa e quindi sospetta. In entrambi i casi, si tratterebbe di riconoscere una propria debolezza. Quindi, nel dubbio, meglio tacere.
21 maggio 2022 (modifica il 21 maggio 2022 | 23:39)
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, 2022-05-21 21:58:00, Dall’inizio della guerra le fiamme hanno avvolto diversi impianti. Se non è colpa del nemico sono malfunzionamenti imbarazzanti: spesso lo Stato tace, Marco Imarisio