Caro Cazzullo,
ma come si permettono quegli spocchiosi mocciosetti di occupare il liceo Manzoni di Milano per contestare un risultato elettorale? Hanno da poco finito di sporcare i pannolini e già sentenziano su ciò che è giusto o non è giusto, su ciò che è democratico o non lo è, o su un fascismo di cui sanno poco o nulla. Perché, se tutto va bene, quel periodo storico glielo avrà spiegato un docente antifascista anziché uno storico documentato e anche super partes.
Daniele Carozzi
Gentile signor Carozzi,
Anch’io trovo sbagliato occupare e ancor più imbrattare un liceo per protestare contro l’esito di un’elezione democratica; anche se non mi permetterei mai di definire «spocchiosi mocciosetti» diciottenni che hanno un’opinione diversa dalla mia. Si dovrebbero attaccare le idee, non le persone. Le faccio una promessa, gentile signor Carozzi: questa è l’ultima volta che affronto il tema del fascismo e dell’antifascismo. Una tema che dovrebbe essere ovvio: tutti dovremmo essere antifascisti. Oggi in Italia, invece, la parola antifascista è sinonimo di comunista. Questo significa ignorare la storia e le figure delle vittime del fascismo, quelle del ventennio — Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, don Giovanni Minzoni, Giovanni Amendola, Carlo e Nello Rosselli e molte altre — e della Resistenza: Duccio Galimberti, Teresio Olivelli, don Giuseppe Morosini, il generale Perotti, i martiri della certosa di Lucca, Giovanni Frignani e gli altri dodici carabinieri trucidati alle Ardeatine. Nessuno di loro era comunista. Lei, gentile signor Carozzi, contrappone «un docente antifascista» a «uno storico documentato e super partes». Come a dire che un antifascista necessariamente è una persona non documentata, un orecchiante. E che le parti si equivalgono: quindi Angelo Formiggini — «io debbo protestare contro l’assurdità malvagia delle leggi razziste» — equivale ad Achille Starace («Formiggini è morto proprio come un ebreo, si è gettato da una torre per risparmiare un colpo di pistola»). Giovanni Frignani, l’ufficiale che aveva arrestato Mussolini e fu ucciso con un colpo alla nuca, equivale a Erich Priebke che sparava e faceva sparare i colpi alla nuca. Duccio Galimberti equivale a Joachim Peiper il boia di Boves, Teresio Olivelli al kapò che lo ammazzò di botte nel lager, don Giuseppe Morosini a Herbert Kappler; e gli insegnanti dovrebbero essere al di sopra di queste parti, delle vittime e dei carnefici, di chi morì per un’Italia libera e democratica e di chi uccise per un’Italia schiava e nazifascista. Ci sono coloro che non sanno e non vogliono sapere; e ci sono coloro che sanno ma non vogliono né alzare lo sguardo sulla tragedia immane della dittatura e della guerra, né chinarlo sulle tante piccole storie di sacrificio e di dolore. Poi ci sono gli insulti sul web, sui social, anche sui giornali, e le telefonate di minaccia da numero sconosciuto; ma nulla di peggio del compiacimento dell’isolato. Noi antifascisti abbiamo perso: non le elezioni (che si giocavano su altro), ma la battaglia della memoria. Non c’è nulla da aggiungere. Da domani cambieremo argomento.
LE ALTRE LETTERE DI OGGI
Storia
«Il Natale di una volta: un panettone, zero luminarie»
Caro Aldo, sono nato sul finire degli anni 40 a Milano in San Gottardo (porta Cicca) a 100 metri dal nebbioso Naviglio. Mi ricordo che i Natali erano illuminati solo dall’albero in piazza del Duomo e della casa di fronte ad esso (palazzo Carminati) chiamata dai milanesi «ca’ del luster Brill» per via di una pubblicità luminosa posta sul tetto, di un omino con scarpe gigantesche lucide che spandeva bagliori sulla piazza. Qualche festone all’ingresso della Galleria e basta. Altre luminarie in città: zero. Era il tempo, in cui si mangiava un solo panettone, il 25 a Natale. (C’erano quattrini solo per quello…) Ricordo ancora i «magutt» che stavano ricostruendo la casa (bombardata) posta d’angolo fra le vie Emilio Gola e l’Alzaia Naviglio pavese, che dormivano per terra, all’aperto, sulle solette in cemento e come materasso dei cartoni. Coperti alla bell’e meglio con coperte di fortuna. Come «riscaldamento« un bidone in mezzo allo spazio alimentato da pezzi di legna del cantiere. Le cene, in latteria: con una tazzona di caffelatte e un paio di michette. Una per il caffelatte, l’altra per il mezzo etto di Bologna messo in parte sul tavolo. Oggi (in tempo di guerra, perché, è chiaro che siamo in guerra..) si comincia a discutere (a ottobre!) sulle luminarie. Se farle come solito con dispiegamento di mezzi con consumi di energia alle stelle, oppure ridurle (saggiamente) di molto. E fra qualche giorno arriveranno i panettoni nei negozi e a Natale, ne avremo già a nausea… Forse un po’ più di umiltà, misura e memoria del «come eravamo» ci farebbe bene.
Franco Griffini
-
INTERNATI
«Anche i detenuti furono deportati, non dimentichiamoli»
Bruno Faccini , Milano;
-
LAUREATI
«La corsa allo studio non sia la prima cosa»
Nicola Campoli , Napoli;
INVIATECI LE VOSTRE LETTERE
Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.
MARTEDI – IL CURRICULUM
Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino
MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO
Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai.
GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA
Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica
VENERDI -L’AMORE
Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita.
SABATO -L’ADDIO
Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno.
DOMENICA – LA STORIA
Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia.
LA FOTO DEL LETTORE
Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.
Inviateci le vostre foto su Instagram all’account @corriere
, 2022-10-09 05:04:00,
Caro Cazzullo,
ma come si permettono quegli spocchiosi mocciosetti di occupare il liceo Manzoni di Milano per contestare un risultato elettorale? Hanno da poco finito di sporcare i pannolini e già sentenziano su ciò che è giusto o non è giusto, su ciò che è democratico o non lo è, o su un fascismo di cui sanno poco o nulla. Perché, se tutto va bene, quel periodo storico glielo avrà spiegato un docente antifascista anziché uno storico documentato e anche super partes.
Daniele Carozzi
Gentile signor Carozzi,
Anch’io trovo sbagliato occupare e ancor più imbrattare un liceo per protestare contro l’esito di un’elezione democratica; anche se non mi permetterei mai di definire «spocchiosi mocciosetti» diciottenni che hanno un’opinione diversa dalla mia. Si dovrebbero attaccare le idee, non le persone. Le faccio una promessa, gentile signor Carozzi: questa è l’ultima volta che affronto il tema del fascismo e dell’antifascismo. Una tema che dovrebbe essere ovvio: tutti dovremmo essere antifascisti. Oggi in Italia, invece, la parola antifascista è sinonimo di comunista. Questo significa ignorare la storia e le figure delle vittime del fascismo, quelle del ventennio — Giacomo Matteotti, Piero Gobetti, don Giovanni Minzoni, Giovanni Amendola, Carlo e Nello Rosselli e molte altre — e della Resistenza: Duccio Galimberti, Teresio Olivelli, don Giuseppe Morosini, il generale Perotti, i martiri della certosa di Lucca, Giovanni Frignani e gli altri dodici carabinieri trucidati alle Ardeatine. Nessuno di loro era comunista. Lei, gentile signor Carozzi, contrappone «un docente antifascista» a «uno storico documentato e super partes». Come a dire che un antifascista necessariamente è una persona non documentata, un orecchiante. E che le parti si equivalgono: quindi Angelo Formiggini — «io debbo protestare contro l’assurdità malvagia delle leggi razziste» — equivale ad Achille Starace («Formiggini è morto proprio come un ebreo, si è gettato da una torre per risparmiare un colpo di pistola»). Giovanni Frignani, l’ufficiale che aveva arrestato Mussolini e fu ucciso con un colpo alla nuca, equivale a Erich Priebke che sparava e faceva sparare i colpi alla nuca. Duccio Galimberti equivale a Joachim Peiper il boia di Boves, Teresio Olivelli al kapò che lo ammazzò di botte nel lager, don Giuseppe Morosini a Herbert Kappler; e gli insegnanti dovrebbero essere al di sopra di queste parti, delle vittime e dei carnefici, di chi morì per un’Italia libera e democratica e di chi uccise per un’Italia schiava e nazifascista. Ci sono coloro che non sanno e non vogliono sapere; e ci sono coloro che sanno ma non vogliono né alzare lo sguardo sulla tragedia immane della dittatura e della guerra, né chinarlo sulle tante piccole storie di sacrificio e di dolore. Poi ci sono gli insulti sul web, sui social, anche sui giornali, e le telefonate di minaccia da numero sconosciuto; ma nulla di peggio del compiacimento dell’isolato. Noi antifascisti abbiamo perso: non le elezioni (che si giocavano su altro), ma la battaglia della memoria. Non c’è nulla da aggiungere. Da domani cambieremo argomento.
LE ALTRE LETTERE DI OGGI
Storia
«Il Natale di una volta: un panettone, zero luminarie»
Caro Aldo, sono nato sul finire degli anni 40 a Milano in San Gottardo (porta Cicca) a 100 metri dal nebbioso Naviglio. Mi ricordo che i Natali erano illuminati solo dall’albero in piazza del Duomo e della casa di fronte ad esso (palazzo Carminati) chiamata dai milanesi «ca’ del luster Brill» per via di una pubblicità luminosa posta sul tetto, di un omino con scarpe gigantesche lucide che spandeva bagliori sulla piazza. Qualche festone all’ingresso della Galleria e basta. Altre luminarie in città: zero. Era il tempo, in cui si mangiava un solo panettone, il 25 a Natale. (C’erano quattrini solo per quello…) Ricordo ancora i «magutt» che stavano ricostruendo la casa (bombardata) posta d’angolo fra le vie Emilio Gola e l’Alzaia Naviglio pavese, che dormivano per terra, all’aperto, sulle solette in cemento e come materasso dei cartoni. Coperti alla bell’e meglio con coperte di fortuna. Come «riscaldamento« un bidone in mezzo allo spazio alimentato da pezzi di legna del cantiere. Le cene, in latteria: con una tazzona di caffelatte e un paio di michette. Una per il caffelatte, l’altra per il mezzo etto di Bologna messo in parte sul tavolo. Oggi (in tempo di guerra, perché, è chiaro che siamo in guerra..) si comincia a discutere (a ottobre!) sulle luminarie. Se farle come solito con dispiegamento di mezzi con consumi di energia alle stelle, oppure ridurle (saggiamente) di molto. E fra qualche giorno arriveranno i panettoni nei negozi e a Natale, ne avremo già a nausea… Forse un po’ più di umiltà, misura e memoria del «come eravamo» ci farebbe bene.
Franco Griffini
-
INTERNATI
«Anche i detenuti furono deportati, non dimentichiamoli»
Bruno Faccini , Milano;
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LAUREATI
«La corsa allo studio non sia la prima cosa»
Nicola Campoli , Napoli;
INVIATECI LE VOSTRE LETTERE
Vi proponiamo di mettere in comune esperienze e riflessioni. Condividere uno spazio in cui discutere senza che sia necessario alzare la voce per essere ascoltati. Continuare ad approfondire le grandi questioni del nostro tempo, e contaminarle con la vita. Raccontare come la storia e la cronaca incidano sulla nostra quotidianità. Ditelo al Corriere.
MARTEDI – IL CURRICULUM
Pubblichiamo la lettera con cui un giovane o un lavoratore già formato presenta le proprie competenze: le lingue straniere, l’innovazione tecnologica, il gusto del lavoro ben fatto, i mestieri d’arte; parlare cinese, inventare un’app, possedere una tecnica, suonare o aggiustare il violino
MERCOLEDI – L’OFFERTA DI LAVORO
Diamo spazio a un’azienda, di qualsiasi campo, che fatica a trovare personale: interpreti, start-upper, saldatori, liutai.
GIOVEDI – L’INGIUSTIZIA
Chiediamo di raccontare un’ingiustizia subita: un caso di malasanità, un problema in banca; ma anche un ristorante in cui si è mangiato male, o un ufficio pubblico in cui si è stati trattati peggio. Sarà garantito ovviamente il diritto di replica
VENERDI -L’AMORE
Chiediamo di raccontarci una storia d’amore, o di mandare attraverso il Corriere una lettera alla persona che amate. Non la posta del cuore; una finestra aperta sulla vita.
SABATO -L’ADDIO
Vi proponiamo di fissare la memoria di una persona che per voi è stata fondamentale. Una figlia potrà raccontare un padre, un marito la moglie, un allievo il maestro. Ogni sabato scegliamo così il profilo di un italiano che ci ha lasciati. Ma li leggiamo tutti, e tutti ci arricchiranno.
DOMENICA – LA STORIA
Ospitiamo il racconto di un lettore. Una storia vera o di fantasia.
LA FOTO DEL LETTORE
Ogni giorno scegliamo un’immagine che vi ha fatto arrabbiare o vi ha emozionati. La testimonianza del degrado delle nostre città, o della loro bellezza.
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, Aldo Cazzullo