Influenza nei bambini, febbre e sintomi: come curarli senza farsi prendere dal panico

Influenza nei bambini, febbre e sintomi: come curarli senza farsi prendere dal panico

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di Cristina Marrone

La pediatra del Bambino Gesù: «Quest’anno l’influenza può durare a lungo e la febbre persiste fino a sette giorni». Paracetamolo e ibuprofene possono essere anche alternati

L’influenza nei bambini colpisce in modo molto caratteristico: dopo un’incubazione breve (1-3 giorni) l’esordio è sempre improvviso, con febbre anche elevata che può arrivare fino a 40°, mal di testa , dolori ossei e muscolari e malessere generale. In seguito subentrano i sintomi di tipo respiratorio come tosse, congestione nasale, mal di gola. Nei bimbi sotto i sei mesi la febbre si manifesta più raramente, ma sono più comuni altri sintomi come vomito e diarrea che possono durare anche una settimana.

Malattia lunga

Quest’anno ci troviamo di fronte al primo anno di ritorno alla normalità dopo la pandemia di Covid: senza l’obbligo di mascherina e con il sistema immunitario disabituato a combattere i virus moltissimi bambini si stanno ammalando.«Sicuramente l’influenza e le forme para influenzali che normalmente girano in questo periodo hanno raggiunto livelli altissimi e sono ancora in aumento» conferma Isabella Tarissi, pediatra all’ospedale Bambino Gesù di Roma. E di conseguenza cresce la preoccupazione dei genitori che talvolta vanno nel panico presentandosi ai pronto soccorso degli ospedali, forse anche disabituati all’influenza che negli anni scorsi è stata molto più lieve. «Dobbiamo prender atto che in questo momento è presente un’alta incidenza di influenza o di virus respiratori parainfluenzali, mal di testa, malessere, dolori muscolari. Non esiste la medicina magica per il virus, bisogna avere la pazienza di tollerare che il bambino possa stare male anche 7-10 giorni,talvolta con febbre molto alta».

Febbre anche per una settimana

«È vero, ed è anche questo che preoccupa i genitori, che quest’anno la febbre persiste più a lungo rispetto al passato, anche 5-7 giorni e con temperature talvolta molto elevate, rispetto a una media di 3-4 giorni a cui eravamo abituati, cui seguivano sintomi respiratori come tosse o raffreddore» spiega la dottoressa Tarissi. «Ma la febbre non deve fare paura – dice – perché è la reazione normale dell’organismo che sta lavorando per combattere l’infezione. Noi pediatri abbiamo sempre detto di attendere 3-4 giorni di febbre alta prima di valutare la possibilità di somministrare l’antibiotico perché a quel punto potrebbe essersi sovrapposta un’infezione batterica. Oggi questa regola non vale più, vanno attesi almeno 5-6 giorni prima di eventualmente optare per l’antibiotico perché nel periodo precedente, in questa stagione influenzale, è ancora il virus che lavora».

La curva termica

Nella fase acuta della malattia la pediatra suggerisce di monitorare con attenzione la curva termica: «È importante farlo perché all’inizio la febbre può arrivare anche a 40°-41° e si alza ogni 4-5 ore. Poi mano a mano si ha una riduzione dei picchi e della distanza tra un picco e l’altro, significa che l’infezione sta migliorando: l’andamento della curva termica ci aiuta a valutare l’andamento della malattia. Per questo l’antipiretico va assunto solo se la febbre supera i 38,5° o se il bambino è davvero molto sofferente con dolori ossei e muscolari o mal di testa che risultano insopportabili: prendere il farmaco con temperature troppo basse sfalsa la curva termica e noi pediatri non riusciamo a capire il vero andamento dell’influenza».

Paracetamolo o ibuprofene? A volte serve un mix

In caso di febbre superiore ai 38,5° la pediatra suggerisce di somministrare in prima battuta il paracetamolo. «Tuttavia – sottolinea Tarissi – talvolta il paracetamolo non risponde in maniera adeguata e a questo punto è possibile passare all’ibuprofene che ha anche una funzione antinfiammatoria, utile per combattere i dolori muscolari. I due farmaci si possono alternare, in particolare se persiste febbre alta: l’ibuprofene si può somministrare ogni 6-8 ore e il paracetamolo ogni 4-6 ore. Nel caso pratico può succedere che il bambino assuma la tachipirina, ma dopo tre ore la febbre sale ancora a 39°: non si può riprendere la tachipirina perché non è passato abbastanza tempo per una seconda somministrazione, e allora si può passare all’ibuprofene. Quando il paracetamolo non basta è possibile anticipare la seconda somministrazione con l’ibuprofene: l’importante è non sommare lo stesso principio attivo in modo troppo ravvicinato, prima dei tempi suggeriti nel foglietto illustrativo. Ad ogni modo è consigliabile chiedere al pediatra su come agire quando la febbre fatica a scendere».

Attenzione alla disidratazione

Il bambino con la febbre, il naso che cola, magari anche con vomito o diarrea è a rischio disidratazione, soprattutto se molto piccolo, per questo è molto importante farlo bere molto: acqua, spremute di agrumi, centrifugati, tisane. Anche il brodo di pollo può essere d’aiuto per combattere la disidratazione. Quando il bambino è raffreddato è consigliabile mettere un cuscino sotto il materasso del lettino così da farlo dormire un po’ sollevato: in questo modo defluiscono meglio le secrezioni. Nei più piccoli vanno pulite le cavità nasali con i lavaggi, i più grandi devono soffiarsi spesso il naso.

Quando i genitori devono preoccuparsi

Quando un genitore si deve preoccupare? «Va fatta una distinzione per fasce d’età – precisa la pediatra-. Il neonato (fino a un mese di vita) e comunque bambini fino ai tre anni hanno bisogno di un occhio di riguardo in più e nel loro caso dopo tre giorni di febbre è raccomandabile contattare il pediatra per capire se alla terapia va associato ad esempio un aerosol, in caso di un’infiammazione delle basse vie aeree. Per i più grandi si possono attendere 5-6 giorni per una visita pediatrica. In pronto soccorso si va quando la malattia nei bambini piccoli non sta migliorando, il bambino è ancora sofferente, fatica a mangiare e bere, quindi può subentrare disidratazione, o sono presenti sintomi respiratori importanti che possono fare pensare a una polmonite». A volte infatti l’influenza può portare a complicanze che si sovrappongono come polmoniti batteriche, otiti, disidratazione nei più piccoli, ma non è sempre allarme rosso e in questi casi sarà il pediatra a valutare se la malattia può essere trattata a domicilio o necessita un ricovero ospedaliero.

Il riposo e la convalescenza

Il bambino colpito da influenza appare molto stanco e affaticato ma è una reazione normale perché il suo organismo sta lavorando per combattere l’infezione. Questo bisogno di riposo va assecondato perché è uno dei modi migliori per farlo guarire bene: niente fretta quindi di rientrare a scuola o all’asilo. «È necessario accettare il fatto che debba esserci una convalescenza. Il riposo è fondamentale perché c’è il rischio che l’organismo, non del tutto ristabilito, possa subire una ricaduta con una nuova infezione parainfluenzale, un adenovirus , un rinovirus e a quel punto la situazione può effettivamente degenerare. Bisogna dare il tempo all’organismo di riprendersi, senza avere fretta» chiarisce la pediatra.

Il vaccino

Non esiste una cura miracolosa per l’influenza, ma esiste un vaccino che la può prevenire ed è offerto gratuitamente a partire dai sei mesi fino ai sei anni. Molte regioni comunque lo stanno proponendo a tutte le fasce d’età visto la virulenza dell’epidemia di quest’anno. «La campagna vaccinale inizia ad ottobre, ma non c’è un limite massimo, si può fare anche adesso» conclude Isabella Tarissi -. Abbiamo in Italia un vaccino quadrivalente che copre da quattro ceppi. Come in tutti i vaccini non garantisce una copertura totale, ma con il sistema immunitario già attivato ci si ammala in genere in modo più leggero. Per onestà il vaccino copre per quei quattro ceppi, ma sono in circolazione anche rinovirus o adenovirus per i quali il vaccino non esiste. Succede quindi di ammalarsi, nonostante aver fatto il vaccino».

2 dicembre 2022 (modifica il 2 dicembre 2022 | 16:41)

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