“Con la Giornata mondiale degli insegnanti rendiamo onore alla professione più bella del mondo, quella che dà un futuro ai nostri giovani. Rimettiamo la scuola al centro della società”.
Questo il messaggio inviato ai docenti da Giuseppe Valditara, Ministro dell’Istruzione e del Merito – e professore di diritto romano nell’Università di Torino – in occasione del 5 ottobre, Giornata mondiale degli insegnanti, istituita dall’Unesco e dall’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) nel 1994. Ma è ancora così?
Che l’insegnamento sia stato percepito da chi sceglieva questa professione come il “mestiere più bello del mondo” è stato probabilmente vero fino a poche generazioni fa, quando il prestigio sociale dei docenti e il rispetto nei loro confronti da parte degli alunni e delle famiglie erano elevati. A quel tempo – in Italia almeno fino alla metà degli anni Sessanta dello scorso secolo – a scegliere di insegnare “da grandi” erano spesso gli studenti più bravi in determinate materie o anche in tutte, insomma i “primi della classe”.
Oggi non si può certo dire che sia ancora così. Progressivamente, man mano che la considerazione sociale e l’autorità degli insegnanti calavano (parallelamente a quella dei padri: “Verso una società senza padre” è il titolo di un profetico libro dello psicologo tedesco Alexander Mitscherlich, uscito nel 1963), il mestiere di insegnante è diventato sempre meno attrattivo, tranne che, in parte, per chi sceglie di iscriversi a “Scienze della formazione primaria”. Gli studenti più brillanti, soprattutto nelle discipline scientifiche e tecniche, da alcuni decenni si orientano ormai quasi tutti verso professioni socialmente più considerate, meglio retribuite e soprattutto con prospettive di carriera, inesistenti nella scuola italiana.
Il fenomeno, certamente, non è solo italiano, come riconosce la stessa Unesco, che nella sua newsletter di ottobre lamenta la gravità della penuria (shortage) di docenti un po’ in tutto il mondo e invita i governi a “migliorare e rafforzare il sostegno degli insegnanti dando loro opportunità di sviluppo professionale, metodologie di insegnamento all’avanguardia e risorse sufficienti per coinvolgere efficacemente gli studenti”. Non si tratta però solo di rendere l’insegnamento più attrattivo agli occhi dei giovani. Il problema in molti Paesi sviluppati (gli USA per primi) sta diventando quello di trattenere (retain) a scuola gli insegnanti, che la stanno lasciando in misura crescente per altre professioni.
Un problema, quest’ultimo, meno avvertito in Italia perché i docenti di ruolo con competenze tecniche possono esercitare la professione al di fuori dell’orario di servizio, mentre assai grave e preoccupante da noi è il rifiuto del mestiere di insegnante da parte dei giovani. Per loro non è più la “professione più bella del mondo”…
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