DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
WASHINGTON — La guerra non è finita. Vladimir Putin non è ancora sconfitto.
II governo di Joe Biden segue gli ultimi sviluppi del conflitto in Ucraina, alternando ottimismo e prudenza. Il New York Times rivela che la controffensiva di Kiev sia il risultato di una stretta collaborazione tra il Pentagono, l’intelligence britannica e i generali di Volodymyr Zelensky.
Il team, coordinato dal consigliere per la Sicurezza nazionale Usa Jake Sullivan e da Andriy Yermak, uno dei collaboratori più stretti del leader ucraino, avrebbe esaminato le opzioni strategiche in piena estate, puntando alla fine sul fianco est del Paese, liberando Kharkiv e Izyum.
La notizia conferma uno schema ormai consolidato da mesi. Biden, pur rifiutando di inviare militari in Ucraina, ha messo a disposizione dell’esercito di Zelensky non solo armi sempre più sofisticate, le informazioni dei servizi segreti e il lavoro degli addestratori, ma anche una sponda politico-militare al massimo livello.
Oltre al contributo di Sullivan, gli ucraini hanno potuto contare sulla sponda del capo di Stato maggiore, il generale Mark Milley. In questi giorni l’amministrazione Usa cerca di mantenere una posizione defilata, attribuendo all’esercito ucraino il merito della clamorosa rimonta. L’altro ieri il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha parlato di «progressi significativi», assicurando la continuità della fornitura di armi agli ucraini. Da questa specie di gabinetto di guerra sono esclusi i grandi Paesi dell’Unione Europea. Anzi ieri il ministro degli esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha polemizzato aspramente con la Germania perché non consegna i carri armati promessi: «Non c’è un singolo argomento razionale che giustifichi questa scelta — ha detto Kuleba —. Che cosa spaventa Berlino e non Kiev?».
Zelensky sta prendendo sul serio l’ipotesi di riconquistare tutti i territori occupati dai russi, compresa la parte del Donbass e la Crimea persi nel 2014. È uno scenario che raccoglie consensi bipartisan nel Congresso americano. La controffensiva di questi giorni ha suscitato reazioni entusiaste tra democratici e repubblicani.
Dal Pentagono, invece, filtra cautela . Nelle ultime ore, molti commentatori e anche ex diplomatici hanno ricordato la storiella raccontata dallo stesso Putin in un’autobiografia pubblicata nel 2000. Il leader russo si ritrovò davanti un topolino chiuso in un angolo, senza vie di fughe. Il roditore, disperato, gli balzò addosso. Putin adesso sarebbe nella stessa posizione e potrebbe tentare una mossa estrema, per esempio usare gli ordigni nucleari tattici per invertire la deriva militare sul campo o almeno riconquistare una posizione di forza da cui negoziare. Attenzione: si sta parlando di bombe con un raggio d’azione limitato, intorno al chilometro e mezzo. Ma comunque con un potenziale devastante.
I generali statunitensi considerano ancora improbabile questa prospettiva, ma non se la sentono di escluderla.
D’altra parte lo stesso Blinken, alla fine di marzo, a margine della visita di Biden a Varsavia, era stato netto con i reporter: «Non sappiamo se Putin userà le armi nucleari, ma abbiamo già costituito un gruppo di specialisti alla Nato che sta studiando le contromisure». Da allora il tema era un po’ scivolato nelle retrovie. Torna adesso, con Putin chiaramente in difficoltà.
Questo, però, non significa che Biden abbia intenzione di allentare la pressione su Mosca. Il presidente americano continua a muoversi dentro un perimetro collaudato. La scorsa settimana ha annunciato altri aiuti militari per 2,8 miliardi di dollari, portando il totale a 14,8 dall’inizio del conflitto. L’intelligence ritiene che l’armata putiniana si stia rifornendo dall’Iran e dalla Corea del Nord. Segno che gli altri canali, in particolare quello cinese, sarebbero chiusi.
14 settembre 2022 (modifica il 14 settembre 2022 | 07:10)
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, 2022-09-14 05:20:00, Gli Stati Uniti intendono proseguire con gli aiuti, Giuseppe Sarcina