Inter, il caso della curva svuotata per Boiocchi: una vergogna, ora tocca a noi tifosi farci sentire

Inter, il caso della curva svuotata per Boiocchi: una vergogna, ora tocca a noi tifosi farci sentire

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di Beppe Severgnini

La reticenza imbarazzante ha tre spiegazioni: paura, ignavia, rassegnazione

Quello che è accaduto sabato sera a San Siro è vergognoso. Inquietanti i fatti. I tifosi dell’Inter, molti con famiglie e bambini, sono stati costretti a svuotare la curva dopo l’omicidio del pluripregiudicato Vittorio Boiocchi, capo ultrà legato alla criminalità. Dieci condanne definitive per associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, associazione a delinquere, porto e detenzione illegale di armi, rapina, sequestro di persona e furto.

Imbarazzante la reticenza. Della società, che si è fatta viva due giorni dopo, condannando genericamente «qualsiasi episodio di coercizione»; dei giocatori, uno dei quali si è lasciato fotografare con Boiocchi (vogliamo sperare che non sapesse chi era); di molti commentatori, che si sono limitati a rilevare l’episodio; di un governo che si indigna per i rave party a Modena e poi distoglie gli occhi da Milano. Qualcuno dirà: cose brutte accadono in molti stadi. Vero, purtroppo. Le infiltrazioni criminali nelle tifoserie della Juventus, del Milan, della Lazio, della Roma, del Napoli, del Palermo e di altre squadre hanno occupato, a turno, le cronache. Ma stavolta è accaduto a San Siro durante una partita dell’Inter. Tocca agli interisti farsi sentire. La cautela che si respira ha tre spiegazioni: paura, ignavia, rassegnazione.

La paura

La paura è diffusa, anche tra i tifosi. Ho ricevuto testimonianze e proteste, tra domenica e lunedì: famiglie e gruppi di amici cacciati dal secondo anello verde perché minacciati. Perché non sporgono denuncia? Per timore. Mi rivolgo ai nerazzurri, senza distinzione: vi sembra una situazione tollerabile? Una grande squadra dev’essere capace di autocritica. Chi l’ha evitata, ha pagato l’errore: con la reputazione, e non solo.

L’ignavia

L’ignavia è quella di chi non vuole grane. Di chi tace, sapendo che di certi episodi si parla molto, ma per poco. Poi vengono dimenticati, la mistica sportiva è potente, ripulisce tutto in fretta. A tutti coloro che vivono nel calcio, e preferiscono parlar d’altro, mi permetto di ricordare che, alla fine, tutti dobbiamo rendere conto a qualcuno: a un figlio, agli amici, a un telespettatore, a un lettore, alla nostra faccia nello specchio al mattino.

La rassegnazione

La terza spiegazione di tanta cautela si chiama rassegnazione. Tra le reazioni, la più comune. E la più scusabile, in apparenza. Perché arrabbiarsi, se poi non cambia niente? Be’, un motivo c’è. Le tragedie del calcio — il morto davanti allo stadio, la guerriglia urbana pre-partita — sono quasi sempre prevedibili, preparate da pessime abitudini tollerate troppo a lungo. Gli stadi sono una parte del territorio nazionale dove la legge è sospesa. Si può minacciare, insultare, diffamare, ricattare, menar le mani impunemente. Il sospetto è che la politica — tutta, senza eccezioni — abbia concluso che serve un luogo per lasciar sfogare l’aggressività: meglio che gli estremisti si raccolgano in uno stadio, invece che andarsene per le strade. C’è un particolare, non secondario: il calcio è di tutti, non dei violenti, dei criminali e di chi li tollera. Gli stadi sono il tempio della meraviglia del calcio. Gli appassionati — quelli che conoscono la gioia infantile di trovarsi in un mare di luce e di gente, con un prato verde nel mezzo — costituiscono la maggioranza, dovunque.

Ma devono sottostare a una minoranza e subirne le conseguenze. Dell’Inter ho scritto molto e, forse, parlato troppo. Ma è la squadra che amo: la considero una forma di allenamento alla vita, un virus dolcissimo che ho trasmesso a mio figlio e ai miei nipoti. Penso che il gol di Barella contro la Sampdoria meriti di essere esposto alla Triennale. Adoro San Siro, ci torno appena posso. Ho perfino accettato, anni fa, di partecipare a un paio di feste della curva Nord nerazzurra, fuori dallo stadio. Quando mi hanno passato il microfono, ho provato a dire: ragazzi, una grande squadra deve avere grandi tifosi. Cercate di essere diversi: non fatevi trascinare, spaventare, espropriare, umiliare. Lo ripeto oggi.

31 ottobre 2022 (modifica il 31 ottobre 2022 | 19:57)

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, 2022-10-31 19:06:00, La reticenza imbarazzante ha tre spiegazioni: paura, ignavia, rassegnazione, Beppe Severgnini

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