di Alessandra Muglia
La fotografa fermata allo scalo di Delhi sette giorni fa: «Non mi hanno ancora dato un motivo». Era l’unica del team originaria del Kashmir
«Mi sento in gabbia e non so come uscirne». È ormai passata una settimana da quando è stata bloccata all’aeroporto di New Delhi, respinta con visto e documenti a posto. Sette lunghi giorni ma è come se fosse appena successo, la rabbia non si smorza e cresce il senso di frustrazione per la grande occasione persa: era attesa a New York a ritirare il Pulitzer, invece non è potuta partire.
«Questo premio è il sogno di ogni giornalista. Quello che hanno fatto è vergognoso. Invece di festeggiare, non mi hanno lasciato espatriare. Mi hanno fermato le guardie prima dell’imbarco senza darmi alcun motivo. Lo sto ancora aspettando» lamenta livida Sanna Irshad Mattoo. La fotoreporter parla al telefono dalla sua casa di Srinagar, la più grande città del Kashmir, l’unico stato indiano a maggioranza musulmana e non induista, oggetto di un’antica disputa territoriale tra India e Pakistan. La stessa casa dalle pareti gialle e le finestre verdi ricettacolo della gioia, immensa, che la notizia del premio aveva generato, ora per lei è diventata una prigione.
«Sono una giornalista, il mio lavoro può portarmi ovunque nel mondo, ma non mi fanno uscire. Impedire a qualcuno di muoversi liberamente senza fornire alcuna spiegazione è una violazione dei diritti umani» attacca Mattoo, 28 anni, da uno borsista della prestigiosa Magnum Foundation.
All’aeroporto era con gli altri due colleghi indiani collaboratori del team Reuters che si è aggiudicato l’ambito riconoscimento (il quarto vincitore, Danish Siddiqui, è stato ucciso in Afghanistan nel luglio 2021), ma soltanto lei è stata fermata, la sola originaria del Kashmir. C’è più di un’ipotesi sui motivi di questi stop: dal 2018 Sanna lavora come fotoreporter freelance per raccontare la vita (difficile) in questa regione. Il suo nome si aggiunge a quello di tanti giornalisti e attivisti del posto, fermati con visto e valige in mano. Lei stessa era già stata bloccata a luglio mentre tentava di recarsi a Parigi per ritirare un altro premio e inaugurare una mostra. «I giornalisti in Kashmir subiscono intimidazioni e rischiano il carcere soltanto perché fanno il loro lavoro. Come Aasif Sultan, Peerzada Fahad Shah e Sajad Gul, in cella in base al Psa Act, una legge sulla detenzione preventiva».
Da quando New Delhi ha revocato l’autonomia del Kashmir, tre anni fa, il governo indiano ha imposto misure per soffocare il dissenso. Iniziative per contrastare il terrorismo islamico e la lotta armata, dicono le autorità. Segnali di una politica repressiva e discriminatoria denunciano i gruppi per i diritti umani. In tutto il Paese del resto lo stato della libertà di stampa continua a peggiorare: l’India quest’anno è scesa al 150esimo posto su 180, dal 142esimo dell’anno precedente, nella classifica di Reporters sans frontières.
«Le autorità parlano di una ritrovata normalità in Kashmir, è questa la vita normale a cui è tornato il Kashmir? In realtà la situazione è tesa, siamo sorvegliati dalla polizia, un clima che a noi giornalisti è impedito di raccontare. Ma io ho vinto il Pulitzer per la copertura del Covid e se guardate la mia foto non ha niente di politico».
Per realizzarla la fotoreporter si era inerpicata con un pony fino a un villaggio a 3400 metri di altezza: immortala un pastore che riceve la dose in uno dei centri vaccinali più remoti del Paese. Immagini che bilanciano «intimità e devastazione offrendo agli spettatori un maggiore senso del luogo», aveva spiegato la giuria a maggio nell’annunciare i vincitori.
«Io ho la fedina penale pulita. Di cosa hanno paura? Sono una giornalista e l’unica cosa che desidero è poter fare il mio lavoro» ribadisce.
Secondo alcuni osservatori il governo di Delhi ha fatto un autogol: se le autorità indiane hanno pensato che questo stop avrebbe evitato di richiamare l’attenzione del mondo sul Kashmir quello che hanno ottenuto è il contrario. «In realtà non credo che questo sia un effetto non calcolato. C’è un clima diffuso di intimidazione e molestie nei confronti dei reporter, ma ora si è voluto dare un messaggio più forte: se riescono a fermare qualcuno che ha vinto il Pulitzer si può immaginare cosa si possono permettere con i cronisti locali».
Il futuro ora è denso di nubi per lei. «Non riesco più a lavorare, non riesco a pensare ad altro. Non si può accettare e rendere normale questa situazione. Sto ricevendo tanto supporto e solidarietà ma dovrebbe esserci un cambiamento. Chi può aiutarci?».
24 ottobre 2022 (modifica il 24 ottobre 2022 | 22:57)
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