Andrea Gavosto, su La Voce.info, fa il punto sulla istruzione professionale in Italia partendo dai dati Ocse del 2023, appena pubblicati.
Secondo il presidente della Fondazione Agnelli, dal rapporto emerge la differenza fra la bassa frequenza dei bambini italiani ai nidi (0-2 anni) – fra quelli di due anni è appena del 13 per cento, contro il 43 per cento medio nell’Ocse – e quella alle scuole dell’infanzia (3-5 anni), che è pari all’87 per cento a cinque anni, in linea con il resto dei paesi avanzati.
Ma si evidenzia pure come la spesa italiana sia inferiore alla media dei paesi Ocse: 4,2 per cento del Pil contro il 5,1 per cento nel 2020. Interessante è la composizione: in Italia il 30 per cento della spesa è dedicata alla scuola primaria, il 46 per cento alla secondaria e appena il 24 per cento all’università, che rappresenta il segmento tradizionalmente sotto-finanziato. La spesa per studente scolastico a tempo pieno è invece in linea con la media dei paesi avanzati.
Tuttavia, incalza Gavosto, il grosso del rapporto di quest’anno è dedicato all’istruzione e formazione professionale, che per l’Italia includono anche gli istituti tecnici, andando oltre la definizione canonica, che dovrebbe limitarsi agli istituti professionali e alla formazione professionale a carattere regionale.
Non a caso, nel rapporto si sostiene che nel nostro paese la Vet copre il 40 per cento degli studenti iscritti, contro il 23 per cento della media Ocse: se si escludessero i tecnici, saremmo poco sopra il 10 per cento. L’estensione agli istituti tecnici rende più confuso il confronto con gli altri paesi: circa la metà degli studenti, infatti, non si indirizza verso il mercato del lavoro, come accade tipicamente negli istituti professionali, ma continua gli studi all’università; inoltre, secondo i dati Pisa e Invalsi, gli apprendimenti degli studenti degli istituti tecnici sono nettamente superiori a quelli della filiera professionale in senso stretto.
In altre parole i nostri ragazzi sono mediamente preparati ma il 35 per cento dei giovani diplomati in Italia appartiene alla filiera tecnico-professionale: tuttavia solo il 55 per cento ottiene un impiego entro due anni, il dato più basso nell’Ocse: insieme alla percentuale del 28 per cento di Neet fra i diplomati, rappresenta uno degli aspetti più preoccupanti degli esiti del nostro sistema d’istruzione. Il vantaggio retributivo, rispetto a chi si è fermato al titolo di scuola media, è modesto, appena il 4 per cento, anche se destinato a salire significativamente con il tempo. Infine, solo il 55 per cento degli studenti Vet ottiene il titolo nei tempi previsti, contro il 79 per cento di chi frequenta i licei.
Inoltre fra i giovani 25-34enni il tasso di occupazione fra chi ha frequentato un istituto tecnico o professionale è più elevato rispetto a chi ha ottenuto una laurea triennale (di qualunque genere). Messa così, può apparire che il titolo di laurea abbia scarsa utilità rispetto al diploma o alla qualifica professionale. In realtà, il confronto è fuorviante perché non tiene conto del fatto che chi dispone di un diploma ha avuto almeno tre anni in più per trovare lavoro rispetto a un laureato: occorrerebbe controllare per il tempo trascorso dall’ottenimento del titolo.
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