Il ricatto della Cina all’Italia (e quell’invito di Xi a Meloni sulla via della Seta)

Il ricatto della Cina all’Italia (e quell’invito di Xi a Meloni sulla via della Seta)

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di Federico Fubini19 dic 2022

Il ricatto della Cina all'Italia

La Cina oggi un Paese nelle mani di un uomo solo, che si gi dimostrato capace di epurazioni di decine di migliaia di alti funzionari a qualunque livello, se non era certo della loro assoluta sottomissione ideologica: dal partito, alla banca centrale, alle imprese di Stato. A differenza di Hu Jintao e prima di lui di Jang Zemin o Deng Xiaoping, Xi oggi pi interessato all’ascesa geopolitica della Cina che alla sua crescita economica o alla sua integrazione nei mercati mondiali. Ossessionato dal controllo politico e personale al punto di privilegiare le imprese meno efficienti del settore pubblico rispetto a quelle, sempre pi infiltrate dal partito, del settore privato. Negli ultimi due anni Xi ha aggredito e tarpato prima le imprese tecnologiche – a partire da Alibaba di Jack Ma – quindi i grandi gruppi dell’istruzione privata: nessuna istituzione pubblica o privata cinese oggi pu svilupparsi fino a rappresentare un potere potenzialmente indipendente. Xi Jinping disposto a pagare un prezzo elevato alla sua visione di stampo marxista-leninista: il tasso di crescita cinese quest’anno sar il pi basso da quattro decenni, pi basso di quello dell’Italia. L’anno prossimo non promette molto meglio. Il settore realmente privato, il pi efficiente, ormai rappresenta non pi di un terzo delle imprese attive. L’industria immobiliare resta paralizzata in una crisi di debito che il governo non vuole o non sa risolvere. La brusca riapertura dopo i drastici lockdown contro il Covid, unita al rifiuto di stampo nazionalista di usare i pi efficaci vaccini occidentali, potrebbe portare – secondo l’Economist – a 1,5 milioni di morti in Cina nei prossimi mesi.

I conti aperti

Questo Paese, guidato cos, oggi ha dei conti aperti con l’Italia. Partir dunque illustrando quelli che dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti, se solo facessimo attenzione. Passer poi a raccontare quelli che non sono sotto gli occhi di tutti – specie in settori strategici come le banche e le telecomunicazioni – ma di cui ormai impossibile dubitare quando si confrontano i resoconti che ne arrivano da Roma e da Bruxelles.

Il memorandum

Prima i fatti pubblici, dunque. Noi tendiamo a rimuoverlo, ma poco meno di quattro anni fa l’Italia si impegnata firmando con Pechino un “Memorandum of Understanding” di adesione del nostro Paese alla Via della Seta. Quello il grande progetto di proiezione internazionale di Xi Jinping, accordo in apparenza solo commerciale e sulle infrastrutture con decine di Paesi in Asia, Africa e qualcuno – se possibile – anche in Europa. La firma dell’Italia arriv ai tempi del governo Lega-M5S, quando l’autocrate cinese arriv a Roma facendo trasportare nell’areo presidenziale persino il suo letto: l’uomo non accetta di accomodarsi in alcun altro giaciglio. Il Memorandum Italia-Cina non presenta particolari contenuti concreti, ma un simbolismo politico innegabile: potenzialmente, allinea un Paese firmatario all’interno della sfera d’influenza di Xi. Il Memorandum con l’Italia poi contiene una clausola di rinnovo automatico ogni quattro anni, se nessuno delle due parti chiedono l’interruzione dell’accordo. Poich la cerimonia della firma si tenuta tre anni e nove mesi fa, Meloni di fronte a una scelta: tacere sulla Via della Seta, dunque proseguire nell’alleanza irritando gli alleati dell’Italia in America e in Europa; oppure far comunicare a Pechino tra poche settimane che l’Italia esce dall’accordo. Sarebbe uno schiaffo non da poco. Il quadro si complica poi perch al G20 in Indonesia il mese scorso – con un tempismo non casuale – Xi Jinping ha invitato Giorgia Meloni per una visita di Stato a Pechino proprio nei prossimi mesi.

Divide et impera

Al leader cinese piace giocare al divide et impera con gli europei, che percepisce come deboli e vulnerabili. Li prende uno per uno e ne solletica la vanit, per controllarli meglio: uno degli obiettivi di Xi in questa fase ottenere il rinvio dei dazi europei sui beni esteri prodotti inquinando molto in settori di grande interesse per l’export cinese: cemento, fertilizzanti, alluminio, ferro, acciaio. Il mese scorso Xi ha ricevuto il cancelliere tedesco Olaf Scholz, con il quale ha concluso l’acquisto di 148 Airbus e assicurato l’ingresso della compagnia di Stato cinese Cosco con il 25% in un terminale del porto di Amburgo. Questo mese Xi ha ricevuto il presidente del Consiglio europeo Charles Michel senza la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che Pechino considera meno manovrabile. Il mese prossimo sar il presidente francese Emmanuel Macron ad andare a Pechino, senz’altro anche lui nella speranza di vantaggiosi contratti.
Poi dovrebbe toccare a Meloni: la visita della premier italiana rischia di arrivare in coincidenza con la scadenza dei primi quattro anni del Memorandum Roma-Pechino. Denunciare l’accordo prima di andare, rischia di far saltare la visita. Denunciarlo subito dopo, rischia di essere uno schiaffo istituzionale che i cinesi potrebbero far pagare alle imprese italiane nel Paese e agli esportatori italiani.

Il ricatto

Perch qui entra in gioco la parte non pubblica di quello che, ad oggi, il vero e proprio ricatto che i cinesi rivolgono all’Europa e in particolare all’Italia. Esso dimostra come Xi pronto a muoversi pur di avvicinare i suoi obiettivi. Nei mesi scorsi emissari dell’Unione europea hanno incontrato pi volte dignitari di Pechino sui problemi – sempre pi seri – che incontrano le imprese europee nell’operare in Cina. Uno dei temi sollevati la possibilit di far accedere le banche europee presenti nella Repubblica popolare a una finestra di prestiti in yuan della banca centrale di Pechino, a tassi d’interesse molto agevolati, purch i fondi siano investiti in progetti “verdi”: per esempio il finanziamento di imprese europee o locali in Cina per la produzione di tecnologie per l’energia pulita o la riduzione delle emissioni delle fabbriche. Sembra un dettaglio tecnico, ma non lo . La banca centrale cinese offre potenzialmente liquidit pari centinaia di miliardi di euro per questo. Significa permettere alle banche e dunque alle imprese europee loro di entrare in questa filiera, fortissima in Cina. Oggi solo due banche europee presenti a Pechino hanno accesso alla finestra “verde” della banca centrale di Pechino, la tedesca Deutsche Bank e la francese Socit Gnrale. Le altre no, incluse Intesa Sanpaolo e Unicredit (la quale per sta molto alleggerendo la propria presenza in Cina). Quando gli europei hanno chiesto l’accesso alla finestra “verde” anche per gli altri istituti, la risposa cinese stata in linea con il carattere del suo leader: potranno avere questo diritto solo le banche dei Paesi che concederanno una licenza di 5G al colosso delle telecomunicazioni cinesi Huawei. Esattamente ci che gli americani non vogliono, per una questione di sicurezza dell’alleanza atlantica dai rischi di cyber-spionaggio ad opera dei cinesi. La mossa del resto era palesemente diretta soprattutto all’Italia, considerata abbastanza debole da poterle rivolgere proposte estorsive. A quanto ho potuto capire essa stata respinta. Ma d un’idea chiara della superpotenza alla quale siamo legati da un Memorandum d’Intesa. E della natura di questa globalizzazione 2.0, dove comanda la geopolitica e non c’ pi spazio per i vasi di coccio.

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, 2022-12-19 07:30:00, Meloni è stata invitata in visita ufficiale a Pechino da Xi Jinping mentre gli emissari cinesi cercano di ricattare i Paesi dell’Ue e l’Italia in particolare, Federico Fubini

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