di Massimiliano Nerozzi
Sotto inchiesta 45 persone tra agenti della penitenziaria, medici in servizio nella casa circondariale, funzionari giuridico-pedagogici, ex direttori. Un recluso: «Mi spezzarono il braccio»
Quando i colleghi della polizia penitenziaria hanno bussato alla porta di casa, alle tre del mattino, lo choc è diventato incubo, leggendo le accuse scritte sul decreto di perquisizione: «Aver cagionato acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a detenuti, agendo con violenze, minacce gravi e crudeltà» . Insomma, uno scenario di torture (questa l’imputazione per il codice penale, dal 2017), falsi in relazioni di servizio e calunnie, che all’interno del carcere di Ivrea andava sostanzialmente avanti da sette anni. Almeno secondo la ricostruzione della nuova inchiesta della Procura, perché un’altra — poi avocata dalla Procura generale di Torino (con 25 indagati) — stava già setacciando episodi avvenuti a partire dal 2015. Stavolta, sono finite sotto inchiesta 45 persone, tra agenti della penitenziaria, medici in servizio nella casa circondariale, funzionari giuridico-pedagogici, ex direttori: per gli investigatori, c’erano detenuti picchiati e richiusi in celle di isolamento; e poi alcuni obbligati a denunciare altri reclusi, in cambio di benefici, tra agevolazioni lavorative interne e il ripristino dei permessi premio.
Le denunce dei detenuti
Il blitz è scattato all’alba, con perquisizioni nelle abitazioni e nei locali di servizio dentro al peniteziario: «I reati risultavano tuttora in corso, situazione che ha reso ineludibile l’intervento degli inquirenti», ha spiegato in una nota il procuratore di Ivrea, Gabriella Viglione. Tutto è iniziato oltre un anno fa, dalla denuncia di un detenuto sui trent’anni: finì con un braccio spezzato dopo la sfida a braccio di ferro con un agente della penitenziaria; episodio poi fatto passare per infortunio sul lavoro. Seguirono altre segnalazioni, riscontrate dagli investigatori con «precisi e gravi elementi probatori oggettivi». Anche se, al momento, non è stata emessa alcuna misura cautelare. L’ipotesi tracciata dall’inchiesta, coordinata dal pm Valentina Bossi, è inquietante: c’era la «cella liscia» (prima era di contenimento, senza mobili, ora è sala d’attesa dell’infermeria) e c’era quella «acquario» (per il colore delle pareti). Entrambe sarebbero state luogo di pestaggi, con i detenuti picchiati e isolati, senza poter avere alcun contatto, nemmeno con i difensori.
Sulla traccia di ulteriori indizi
A volte, capitava che fossero costretti ad accusare altri detenuti, raccontando di minacce ad agenti o di insulti al magistrato di sorveglianza: cose mai successe — secondo i pm — il che ha portato alla contestazione di falso e calunnia. «Pensiamo non ci siano elementi per sostenere le accuse», dice l’avvocato Celere Spaziante, che difende 12 agenti. Dalle 36 perquisizioni — fatte dagli uomini del nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria, insieme a carabinieri e militari della guardia di finanza — gli inquirenti sperano di trovare altri indizi e tracce, a partire dai computer sequestrati. Gli ultimi episodi di tortura — per l’accusa — sono avvenuti tra il luglio e l’agosto scorsi, mentre altre condotte vengono collocate tra il 2015 e la primavera del 2022: praticamente, botte e soprusi non si sarebbero mai fermati.
22 novembre 2022 (modifica il 22 novembre 2022 | 22:53)
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, 2022-11-22 23:19:00, Sotto inchiesta 45 persone tra agenti della penitenziaria, medici in servizio nella casa circondariale, funzionari giuridico-pedagogici, ex direttori. Un recluso: «Mi spezzarono il braccio», Massimiliano Nerozzi