Il Cremlino non denuncia nessuna perdita. Dal vicegovernatore ucraino arrivano altre notizie: soldati russi annegati o costretti a fingersi civili e centrali elettriche fatte brillare
Prima dell’alba, quando in Italia erano le tre, tutte le forze russe sulla riva destra del fiume Dnipro hanno lasciato la città di Kherson e hanno ripiegato verso Oriente. Il ministro della Difesa Mosca, Sergei Shoigu, l’ha annunciato come uno squillo di fanfara. Operazione perfettamente riuscita. L’ordine per il ritiro era stato ufficializzato mercoledì e in meno di tre giorni è stato portato a termine. Se fosse tutto vero ciò che riferisce Mosca, in modo decisamente brillante.
Il Cremlino non denuncia alcuna perdita, Shoigu dice, letteralmente, che nessun soldato e attrezzatura, munizione o veicolo militare è stato lasciato sulla sponda occidentale. L’abc della tattica militare insegna: ritirati e fai saltare i ponti. Comando, anche in questo caso, perfettamente eseguito. Il ponte Anotonovsky è il principale collegamento tra la città di Kherson e la sponda occidentale del Dnipro che conduce verso la penisola di Crimea. I blogger militaristi russi mostrano le immagini di un’enorme voragine in mezzo. Un civile in bicicletta osserva il crollo di uno dei due bracci del ponte mobile. Da lì gli ucraini non potranno passare a lungo.
Tutto bene quindi per Mosca? I russi hanno completato in modo fulmineo un’operazione che gli esperti militari occidentali prevedevano potesse venir compiuta in settimane. C’era da trasferire quasi 40mila fanti, migliaia di blindati e tank, centinaia di cannoni. Le perdite avrebbero potuto essere ingenti, i combattimenti feroci. Invece ora, con l’apparato bellico intatto, avendo salvato la vita dei propri soldati, Mosca si prepara a tenere le difese sulla sponda orientale con uomini e armi in perfetta efficienza. Tutto bene? Tutto vero? Alla versione russa si contrappone quella ucraina. Dal vicegovernatore di Kherson, Serhiy Khlan, arrivano notizie di soldati russi annegati mentre attraversavano con le barche il grande fiume sotto bombardamento; di militari abbandonati dalle loro unità e costretti a travestirsi da civili e occupare gli appartamenti vuoti di Kherson; di una centrale elettrica fatta brillare. Non una disfatta, ma la solita immagine dei russi incapaci di coordinare le loro stesse azioni.
E’ presto per capire gli esatti contorni del ritiro. E’ probabile che mercoledì mentre il comandante in capo Surovikin e il ministro Shoigu recitavano a favore di telecamere la sceneggiata di un consiglio di guerra («Propongo il ritiro perché le linee di collegamento rendono difficile la protezione dei soldati”. «Concordo con lei generale, le do ordine di procedere al ripiegamento»), l’operazione fosse già in avanzato stato di realizzazione. Il successo sarebbe stato quindi duplice. Da una parte aver realizzato il piano con perdite basse, dall’altra essere riusciti a nasconderlo fino all’annuncio dell’alba. Un movimento di migliaia di uomini e mezzo occultato agli occhi dei satelliti, dei droni e anche alle grandi orecchie di intercettazione occidentali che fino a questa fase della guerra hanno sempre dato un enorme vantaggio agli ucraini. Un altro modo per decifrare l’evacuazione indolore dei russi da Kherson alla sponda orientale del Dnipro è inquadrarla in possibili trattative in cui, in cambio del «safe passage», i russi avrebbero offerto qualcosa sul piano diplomatico. Se ne parla in diversi ambienti diplomatici e militari, ma sono speculazioni che è troppo presto per avvalorare o smentire. Il ritiro da Kherson è comunque reale, a tre giorni dall’annuncio i russi hanno abbandonato la città che avevano dichiarato «eternamente russa» meno di due mesi fa. La guerra entra in una nuova fase.
11 novembre 2022 (modifica il 11 novembre 2022 | 16:25)
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