Kirilo, reduce di Lysychansk: «Conquista sofferta, alla fine la vittoria è nostra»

Kirilo, reduce di Lysychansk: «Conquista sofferta, alla fine la vittoria è nostra»

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di Andrea Nicastro

Il soldato racconta una guerra antica fatta di trincee, bombe e incursioni notturne: «Il momento più pericoloso? Andare in bagno»

DAL NOSTRO INVIATO KIEV — Il soldato Kirilo Volodymerovich riesce ancora a scherzare. «Il momento più pericoloso della giornata in Donbass? Andare al gabinetto. Avevamo appena finito la nuova latrina e una tormenta di missili Grad ce l’ha distrutta. Da allora abbiamo rinunciato alla privacy. Tanto si usciva comunque dalla trincea uno alla volta per evitare di perdere più di un soldato in caso di attacco».

Il racconto che Kirilo fa di ciò che ha vissuto a Lysychansk è quello di una guerra antica fatta di trincee, bombe e incursioni notturne dove il coraggio dei singoli, la crudeltà, il dolore, il corpo a corpo sono esperienza quotidiana. Una guerra che chiede il sangue dei soldati, li dilania con le esplosioni o li trafigge con i mitra di altri uomini di fronte a loro.

Kirilo, questa volta, è dalla parte degli sconfitti anche se, a lui come al suo comandante in capo, la definizione sta stretta. «La decisione di ritirarsi da dove il nemico ha una netta superiorità di fuoco — ha sostenuto il presidente Zelensky — salva le vite dei soldati ucraini. Ma dal punto di vista strategico significa che gli stessi militari torneranno con armi più moderne per la riconquista. L’Ucraina non rinuncia a nulla di ciò che è su».

La battaglia persa

Per quanto speri nella riscossa, quella di domenica resta una battaglia persa per l’Ucraina.

«Qualcuno — dice Kiril — parla di “zrada”, tradimento, perché Severodonetsk è stata difesa per molto tempo mentre Lysychansk è stata abbandonata in una settimana. Beh, chi lo dice non capisce niente. Sono giudizi da generali della poltrona. Chi era al fronte può essere triste, ma sa di aver fatto il possibile».

Conquistando Lysychansk e, una settimana prima, la sua città gemella dall’altra parte del fiume, Severodonetsk, l’armata di Mosca si è impossessata completamente di una della due province del Donbass. La propaganda russa la chiama «liberazione» e si fa forte delle immagini degli ucraini che escono dai rifugi antiaerei per salutare le truppe del Cremlino. Ora, se Mosca avanzasse di altri 70 chilometri e conquistasse le città di Sloviansk e Kramatorsk avrebbe preso l’intero Donbass. L’obiettivo minimo di Putin sarebbe raggiunto. A quel punto, forse, lo zar sarebbe disposto a fermarsi.

La caduta della Volpe

Per prendere Severodonetsk, i russi hanno impiegato un mese, per prendere Lys (Volpe), come Kirilo chiama Lysychansk solo una settimana. Gli analisti militari dicevano che il fiume e le alture della Volpe avrebbero aiutato la difesa ucraina. Invece? La sconfitta è il sintomo di una sproporzione di forze ingestibile? Kirilo, raggiunto al telefono dopo la ritirata, aiuta a capire e a immaginare la continuazione del conflitto.

«È sbagliato pensare a Lys come a una battaglia diversa da quella di Severodonetsk. Sono città attaccate una all’altra, per difendere Severodonetsk sparavamo da Lysychansk e tutte le volte che i nemici ci hanno attaccato frontalmente li abbiamo respinti. Quindi la Volpe ha resistito 5 settimane, non poco».

Gli orchi

«Dopo la caduta della prima città, noi fanti siamo scesi dalle famose alture. Là in alto era già tutto distrutto, raso al suolo. Sulla testa ci volavano i pezzi d’artiglieria degli orchi — i russi, ndr — e i proiettili della nostra risposta. Di notte vedevo i lampi delle esplosioni, una sfida tra cannoni che neanche si possono vedere l’uno con l’altro. Stare là in cima, a noi soldati non sarebbe servito e l’artiglieria sarebbe stata troppo vicina, quindi via dalle alture. I russi non spingevano per attraversare tra le case, non ne avevano bisogno, avevano già passato il fiume che divide le due città molto, ma molto lontano. A Nord e a Sud,a Izium e a Popasna».

«Fossimo rimasti ad aspettarli saremmo tutti morti perché ci avrebbero preso a tenaglia. Invece anche se la nostra artiglieria non sparava quanto la loro, siamo stati noi a fare la differenza e a fargli pagare carissimo il desiderio di prendersi la Volpe. Uscivamo di notte con i visori. Un tratto sui mezzi e un tratto a piedi. E poi gli arrivavamo addosso. All’alba, anche dove erano accampati da un mese e credevano di essere al sicuro.“Dobrevecher me z Ukraine” — buongiorno dall’Ucraina, ndr — oppure “Gamarjoba!” — che è buongiorno in georgiano, ndr — per far capire loro che non siamo i soli a resistergli. E poi giù fuoco, una valanga. In quelle incursioni abbiamo distrutto tanti loro depositi, interi gruppi di combattimento: due carri armati, blindati trasporta truppe, carro officina, cucina… 70/80 uomini. Distrutti».

Kyrilo non ha mai sentito parlare di «vittoria di Pirro», ma il concetto gli esce chiarissimo. «Parlano di tradimento, ma non capiscono la guerra. Si combatte per indebolire l’altro. Se ogni loro conquista gli costa così cara, alla fine la vittoria è nostra. Se ci avessero accerchiato avrebbero vinto loro, ma così? Noi siamo vivi, torneremo».

4 luglio 2022 (modifica il 4 luglio 2022 | 23:04)

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, 2022-07-04 21:09:00, Il soldato racconta una guerra antica fatta di trincee, bombe e incursioni notturne: «Il momento più pericoloso? Andare in bagno», Andrea Nicastro

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