di Monica Scozzafava e Andrea Sereni
Il difensore, otto anni a Napoli, ora in Premier: «Da Sarri ad Ancelotti a Spalletti: tutti fondamentali per la mia crescita. La squadra oggi è solida, tutti più bravi perché liberi dal peso del grandi»
Immaginate Koulibaly nel suo grande e confortevole appartamento nel quartiere londinese di Fulham: è davanti alla tv e ad ogni gol del Napoli esulta. Immaginatelo non da solo: è con i suoi figli, Seni e Nessa di 6 e 3 anni, nati entrambi a Posillipo, che lo abbracciano e ogni volta gli chiedono: «Papà, quando torniamo a Napoli in vacanza?». È la scena che l’ex difensore dei partenopei, da quattro mesi al Chelsea, racconta quando gli viene chiesto: le manca Napoli? Sta rientrando a casa dopo l’allenamento con i Blues («il sole, quanto mi manca il sole», dice). Koulibaly è infortunato, non giocherà la sfida di Champions contro la Dinamo Zagabria di domani, ma i Blues sono già qualificati agli ottavi.
Proprio come il Napoli, che stravince in Europa e in Italia. Koulibaly, si è mai pentito di esser andato via?
«Credo nel destino, dopo otto anni doveva andare così. Il mio ciclo era finito, avevo dato tutto. Dal punto di vista delle emozioni cambia poco. Sento ogni gol, ogni vittoria, come se li vivessi in prima persona. Questo Napoli è il mio Napoli. Sono felice di aver contribuito alla crescita della squadra. Sa di cosa parlo nello spogliatoio del Chelsea? Delle vittorie dei miei ex compagni. E sa perché? Ne sono fiero. Sento spesso Anguissa, Osimhen. Ho scambiato anche messaggi con Kvara, che ancora non conosco».
È un Napoli più forte di quello che con Sarri sfiorò lo scudetto con 91 punti?
«Se vinceranno diremo che sono più forti. Era un calcio diverso, non possiamo fare paragoni. Quel Napoli giocava in modo incredibile, dominavamo tutte le squadre. Oggi anche quando non dominano uccidono le partite, sono straordinari. Li vedo solidi, compatti».
Allora, sarà scudetto?
«Me lo auguro, non lo diciamo per scaramanzia. Se accadesse corro a Napoli a festeggiare, sarà uno scudetto anche mio».
Quest’estate sono andati via i giocatori più importanti e quelli che c’erano sono migliorati. Perché, secondo lei?
«Non credo che siano migliorati. In allenamento li ho sempre visti forti. Oggi si sono liberati. Non si nascondono dietro i giocatori importanti. Guardandoli, non ho alcun rimorso: non avevano più bisogno di me».
Spalletti?
«Mi ha capito al primo sguardo. Ogni giorno passavo nel suo ufficio e chiacchieravamo prima dell’allenamento. Ha sempre detto a tutti noi di credere in lui. Quando parlava di scudetto lo prendevano per pazzo, oggi sta dimostrando che aveva ragione. Ora ci scambiamo messaggi dopo le partite».
E Sarri, lo sente ogni tanto?
«Meno, ma devo a lui quello che sono oggi».
Con Ancelotti a Napoli non è andata benissimo.
«Grato di aver lavorato con lui. Ha fatto crescere il club, ma all’epoca si parlava troppo di quello che accadeva fuori dal campo, ammutinamento compreso».
La Premier è il campionato più affascinante?
«Il più bello al mondo. Meno tattico, ma più intenso. Qui però devi arrivarci dopo la formazione italiana. Con il mio compagno Thiago Silva in campo parliamo di tattica in italiano».
Molti giovani, come Scamacca, sono andati via dall’Italia.
«Non so se hanno fatto la scelta giusta, forse per gli attaccanti è diverso ma da difensore la scuola italiana di tattica è indispensabile».
L’ha scelta Tuchel e si è ritrovato con Potter. Una sfida diversa?
«Il bello del calcio è anche questo: arrivo con un allenatore che mi ha voluto a tutti i costi e poi lui va via. Sia Tuchel che Potter giocano con la difesa a tre, io ero abituato a Napoli con la linea a 4. È un’altra freccia che metto nel mio arco, non si finisce di imparare. Sapevo che avrei avuto difficoltà, e così è stato. Anche Zola, Drogba me lo avevano anticipato».
Il primo posto per ora è dell’Arsenal.
«Sarà del Chelsea a fine stagione, qui voglio scrivere la storia».
Con la maglia numero 26.
«Ho chiesto il permesso a John Terry prima di prenderla».
Non è ancora tornato a Napoli?
«No, i miei figli hanno ospitato qui un loro amichetto napoletano. La famiglia non era mai stata a Londra, sono stati con noi quattro giorni».
I suoi figli parlano in italiano?
«Certo e dovranno continuare a farlo. L’inglese è importante e la scuola li aiuta in questo senso».
Da Londra come vede il campionato italiano?
«Molto equilibrato, con la sorpresa della Juve che nessuno pensava fosse così in ritardo. Ho incrociato il Milan in Champions, resta una squadra forte».
Ha mai avuto offerte da squadre italiane?
«Sì, ma non le ho accettate».
La voleva Allegri?
(ride) «Lo sta dicendo lei. Una maglia che non potevo indossare, per fede e anche per rispetto».
In Italia è stato più volte vittima di episodi discriminatori. Accade in Inghilterra?
«Il razzismo è un problema anche qui. Chi insulta però viene immediatamente
isolato dalla società e dai club».
Il cibo per lei è espressione di comunità. Mangia africano a Londra?
«No, per ora mangio italiano!».
Col Senegal al Mondiale da detentore della Coppa d’Africa.
«Dobbiamo confermarci, daremo tutto per passare il girone. Peccato che l’Italia non ci sia, ci perde il Mondiale».
Finito il calcio, cosa ci sarà per lei?
«Chissà, magari vado a fare il dirigente a Napoli!».
Con De Laurentiis?
«Sono sempre stato educato, non credo possa dire il contrario. Se sono al Chelsea lo devo anche a lui che mi ha portato a Napoli».
1 novembre 2022 (modifica il 1 novembre 2022 | 07:31)
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, 2022-11-01 06:58:00, Il difensore, otto anni a Napoli, ora in Premier: «Da Sarri ad Ancelotti a Spalletti: tutti fondamentali per la mia crescita. La squadra oggi è solida, tutti più bravi perché liberi dal peso del grandi», Monica Scozzafava e Andrea Sereni