Tuttoscuola ha seguito con interesse la vicenda del disegno di legge provinciale presentato dall’assessore trentino Bisesti (Lega) perché, sia pure in un ambito territoriale delimitato, regolato sulla base della larga autonomia accordata alla Provincia dallo Statuto speciale del Trentino-Alto Adige, provava ad affrontare con proposte concrete la questione della carriera professionale degli insegnanti prevedendo quattro diverse figure di docente: ordinario, esperto, ricercatore, delegato all’organizzazione, le prime tre ad accesso concorsuale, la quarta scelta dal dirigente scolastico (ma solo tra chi è già un docente esperto o ricercatore, il che taglierebbe fuori molti degli attuali fidati collaboratori dei DS).
Una proposta che richiamava in qualche misura la proposta di legge Aprea del 2008, poi rielaborata e che sembrò ampiamente condivisa al tempo del governo Monti (2012, con Aprea presidente della Commissione Cultura della Camera), che aveva previsto una carriera articolata su cinque livelli: docente neoassunto, iniziale, ordinario, esperto, vicedirigente (tramite concorso per titoli ed esami).
Fu quello forse, nella storia della scuola italiana, il momento in cui si andò più vicini all’introduzione per via legislativa, e senza una pregiudiziale opposizione dei sindacati, di un’ipotesi di carriera per gli insegnanti.
Poi, col governo Renzi, tutto tornò in alto mare perché la Buona Scuola era incentrata sulla figura e sui poteri autocratici del dirigente scolastico (scelta dei docenti, premio ai “migliori”), in totale contrapposizione con i sindacati, il cui enorme sciopero del 5 maggio 2015 (65% di adesioni), alla vigilia dell’approvazione della legge, fu ignorato (e certamente sottovalutato) dal governo. La carriera non è passata, neanche con il deludentissimo progetto targato Bianchi-Draghi di un anno fa.
Quella della Provincia di Trento appariva, dopo anni di silenzio sul tema (e dopo l’insabbiamento, appunto, di quanto timidamente ventilato in materia dal PNRR), una iniziativa meritevole quanto meno di attenzione, diciamo una sperimentazione, una prova di fattibilità. Considerata la netta maggioranza politica e il tempo a disposizione, era un’occasione ghiotta. Ma qualcosa non ha funzionato: uno schieramento trasversale che va dai sindacati trentini (che dopo un iniziale atteggiamento di cautela, si sono ora compattati nel rifiuto frontale del modello di carriera profilato nel ddl Bisesti) alle forze di opposizione fino a una parte della categoria, inclusi non pochi dirigenti scolastici, ha criticato il modello proposto (anche nel merito, non solo ideologicamente, sia pure senza avanzare proposte alternative, lamentando che non sia stato richiesto). Nel frattempo all’interno della maggioranza che governa la Provincia è venuto meno il sostegno di Fratelli d’Italia, che anche a Trento si sforza di adeguarsi alla linea moderata e neocentrista del premier Meloni: qualunque progetto che riguardi gli insegnanti, ha detto la leader locale di FdI, Francesca Gerosa, “va condiviso con docenti, genitori e sindacati”. Insomma, non se ne farà nulla, almeno a partire da Trento.
Chissà quando se ne riparlerà, a Trento e nel resto del Paese. La “progressione per anzianità” regna ovunque sovrana, è certamente più facile da gestire (e da controllare), mentre la professione docente perde sempre più di attrattività tra chi ha i talenti per scegliere la propria professione.
Le ricadute sugli studenti di domani? Diciamocelo francamente, non è il faro che si segue, sono troppo lontane, mentre cambiare il sistema di oggi implica complessità e potenziale perdita di consenso immediate. “Chi me lo fa fare?!”. O no?
È la cifra della politica scolastica (e sindacale) in Italia da decenni. Se qualcuno lo vuole smentire saremo lieti di ascoltarlo.
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