mercati e geopolitica
di Fabio Savelli18 mar 2022
Per capire la spinta all’autosufficienza cinese conviene partire da Huawei, la società di apparati di telecomunicazioni finita da anni nel mirino degli Stati Uniti perché ritenuta di essere la quinta colonna tecnologica di Pechino in grado di spiare segreti industriali e militari dell’Occidente. Illazioni o meno può essere presa a modello per spiegare la pianificazione cinese che punta a smarcarsi dalle esportazioni occidentali in un risiko geopolitico di cui la guerra in Ucraina è diventata il primo banco di prova per forzare un cambiamento di equilibri che mira a destabilizzare la supremazia tecnologica ed economica delle cosiddette «società aperte» basate sul libero mercato e la democrazia pluralista.
In appena quarant’anni Huawei e il suo fondatore Ren Zhengfei ha convertito Shenzhen in una megalopoli da 20 milioni di abitanti. Nei primi anni ‘80 era solo un piccolo villaggio affacciato sul mar cinese meridionale. Ora è il quartier generale del più grande gruppo tecnologico della Cina comunista. Affacciato su una selva di grattacieli che ora colorano la megalopoli asiatica, il suo distretto finanziario, le auto incolonnate per chilometri alla dogana con Hong Kong, i casermoni popolari con vista autostrade e tangenziali, lo shopping compulsivo nei centri commerciali nonostante due anni di Covid. Nata come zona economica speciale nei primi anni ‘80 deve tutto a Deng Xiaoping, la cui gigantografia si staglia imponente ed è meta di turisti, vanto ed orgoglio di chi, qui, si è sottratto alla povertà arrivando dalle campagne. Popolata da centinaia di palazzi e residenze. Costellata da barriere per gli accessi alle auto Huawei accoglie i suoi ospiti in uno sfarzo ostentato da pavimenti extra-lusso, tappeti dai colori sgargianti, laboratori avveniristici che ci proiettano nell’era del 5G.
Non è un caso che il Vecchio Continente si sia tramutata in un terreno di confronto globale sul 5G. Non è un caso che ora l’Ucraina, nel centro dell’Europa, sia il nuovo terreno di scontro tra superpotenze globali. Il nuovo standard della telefonia mobile promette tempi di latenza uguali o inferiori al cervello umano tali da poter immaginare i robot alla guida delle fabbriche e delle automobili, solo per citare due delle applicazioni più immaginifiche. Huawei, ed è evidente dal riguardo con cui vengono accolti i giornalisti europei, ha la necessità di non perdere un mercato da 600 milioni di persone. Ha il suo quartier generale europeo a Düsseldorf, la holding ad Amsterdam, il centro di ricerca e sviluppo sulle microonde a Segrate e ha avviato un mega laboratorio a Cambridge sui microchip.
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Ha progettato una totale disintermediazione dalla fornitura americana, che è l’altro grande fronte su cui gli Stati Uniti sono allo scontro frontale. Un interessante rapporto presentato da Confindustria Assoconsult segnala il paragone di quello che sta avvenendo anche in altri settori. La Cina, al pari di Huawei nel cui board non a caso figura un membro del partito comunista cinese, sta facendo scendere velocemente la dipendenza dalle esportazioni (e dalle importazioni) all’estero e per l’estero grazie ad un mercato interno da 1,3 miliardi di persone. La sensazione è che con la spinta delle materie prime — dal palladio all’alluminio, dal nickel al carbone, dal petrolio al gas — che arrivano dalla Russia (e dall’Ucraina) i propositi di un reindirizzamento dell’economia globale verso Pechino comincia a prendere forma e qui si spiega l’apprensione americana suggellata dall’ultimo vertice a Roma con il consulente diplomatico del governo cinese.
Altrettanto sta facendo l’Occidente. C’è una nuova centralità delle politiche industriali anche in Occidente dirette a sostenere la reindustrializzazione. Le difficoltà nelle forniture di materie prime e semilavorati stanno spingendo le imprese a rivedere i propri modelli di business nel senso di accrescerne la resilienza. Nella configurazione delle catene globali del valore stanno entrando anche i costi ambientali. L’automazione industriale rende poco rilevante l’abbondanza di manodopera a basso costo, dunque la Cina e il sud-est asiatico diventano meno rilevanti per ridurre il costo del lavoro.
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, 2022-03-18 11:37:00, Un rapporto di Confindustria segnala la forte riduzione della dipendenza verso l’estero. Il controllo delle materie prime e la guerra sul 5G, Fabio Savelli
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