di Mauro Ceruti
L’attitudine a semplificare è talmente radicata nella nostra cultura, anche politica e sociale, che è difficile “vedere” e accettare le interconnessioni. Un filosofo della complessità, parola chiave del nuovo mondo, spiega come non farsi bloccare dalla paura e dall’incertezza, impegnandosi a plasmare il migliore fra i tanti futuri possibili. Percorso in sette punti
Complessità è l’idea cruciale della scienza contemporanea, che a partire dal secolo scorso ha trasformato radicalmente la nostra visione dell’universo e della vita. Italo Calvino, uno dei più grandi scrittori del Novecento, appassionato di scienza, in un testo del 1985 dedicato alla “molteplicità” — che avrebbe dovuto essere una lezione da tenere ad Harvard — scrisse che compito del romanzo contemporaneo è «rappresentare il mondo come un garbuglio, senza attenuarne affatto l’inestricabile complessità, o per meglio dire la presenza simultanea degli elementi più eterogenei che concorrono a determinarlo». Complesso significa che tante cose sono intrecciate insieme, a formare una unità.
1) TUTTO È CAUSA EFFETTO
Pandemia, emergenza climatica, guerra in Ucraina: tutte queste crisi rivelano la complessità del nostro tempo e della condizione umana globale. Ciascuna è fatta di tante crisi intrecciate, che influiscono le une sulle altre e che non possono essere separate: sanitaria, biologica, scientifica, economica, ecologica, sociale, antropologica, psicologica, esistenziale… Nel mondo globale, tutto è connesso. Cioè, c’è una circolarità continua, non una semplice linearità, fra cause ed effetti. Tutto è interdipendente e tutto è contemporaneamente causa ed effetto. Ed è impossibile e controproducente semplificare un tessuto inestricabile di con-cause e di interdipendenze. Siamo come in un disegno di Esher. Una mano disegna una mano che a sua volta disegna la mano che l’ha disegnata che a sua volta… Ma, nel nostro caso, non è un trompe l’oeuil, è la realtà.
2) DISSIPARE LA NEBBIA
Siamo eredi di una tradizione culturale che ci ha abituato a vedere la complessità come una nebbia da dissipare, dissipata la quale vedremmo le cose finalmente nella loro semplicità e linearità. È l’idea di scartare il loglio dal grano, l’accidentale dall’essenziale. Di separare ogni problema o fenomeno nelle sue parti elementari, specializzare le conoscenze, rimetterle in ordine. Un lavoro certo faticoso, lungo, ma che alla fine potrebbe rendere le cose controllabili e prevedibili… Ma questo modo di conoscere semplificante era già entrato in crisi nel secolo scorso, sotto l’effetto degli stessi progressi della scienza. Innanzitutto nella fisica, e poi nell’emergere di scienze che hanno cominciato a studiare i “sistemi complessi”, come nel caso dell’astrofisica, della climatologia, dell’ecologia, che intrecciano fenomeni e problemi tradizionalmente separati gli uni dagli altri.
L’attitudine a semplificare è talmente radicata nella nostra cultura, anche politica e sociale, che è difficile “vedere” la complessità. La complessità tanto più si manifesta, tanto più provoca un rigetto “nevrotico”, che fa cadere nella trappola del semplicismo, del complottismo, del populismo, del cospirazionismo, del nazionalismo, del sovranismo… È un’onda di paura, di rabbia e di risentimento che abbiamo visto montare, con forme, intensità e virulenze diverse, in varie latitudini: dall’improvvisa e inaspettata separazione della Gran Bretagna dall’Unione europea, all’assalto al Campidoglio a Washington nel gennaio 2021, fino alla decisione il 24 febbraio scorso del Cremlino di invadere l’Ucraina, con l’idea di vendicare l’umiliazione del crollo dell’Unione Sovietica e di offrire alla popolazione russa la spiegazione “semplice” di tutti i problemi: l’Occidente liberale trama per soffocare la vocazione imperiale della Russia, che le è assegnata dalla storia e dal destino. La scelta della guerra dimostra l’incapacità dell’élite russa di gestire i problemi in maniera complessa.
3) COMPLESSO O COMPLICATO?
Cosa significa dunque affrontare la complessità? Significa innanzitutto non confondere complesso e complicato, come spesso si fa nel discorso comune. Sono due cose molto diverse, in certo senso opposte. Siamo abituati a pensare che sia accaduto ciò che era inevitabile che accadesse. Ciò vale certo per i meccanismi complicati. Un meccanismo complicato, anche complicatissimo (per esempio un Jumbo, un aereo) è in linea di principio riconducibile alla somma delle sue singole parti, che possono essere considerate separatamente. È perciò prevedibile e controllabile. Ma un sistema complesso non è la somma delle sue singole parti. È qualcosa di più, ma anche qualcosa di diverso e originale: evolve continuamente attraverso le reciproche interazioni fra le sue parti. Come nel caso di un organismo, per esempio, o anche del nostro mondo interconnesso. E la sua storia dipende anche da eventi singolari, contingenti. Ce lo insegna bene Giorgio Parisi.
4) IL NUOVO MONDO INCERTO
In un mondo complesso ciò che accade avrebbe potuto andare diversamente: possiamo ricostruire perché le cose sono andate così. Ma non era necessario che andassero così. Perciò un mondo complesso è un mondo incerto, non perfettamente controllabile e prevedibile. Perché è estremamente sensibile agli eventi contingenti e imprevisti che incontra nelle varie fasi della sua storia. È un mondo in cui i cigni neri sono all’ordine del giorno… Un evento microscopico e locale può produrre effetti macroscopici e globali. Insomma, piccole cause, grandi effetti. E questo è rivelato bene dalle nostre crisi. È ciò che stiamo vivendo.
5) DECIDERE E SCHIERARSI
Un mondo complesso non riduce ma al contrario dilata l’orizzonte della nostra responsabilità, e si impone la responsabilità di prendere decisioni. La responsabilità si estende verso nuovi ambiti: la biodiversità, gli ecosistemi, la sopravvivenza stessa dell’umanità… Ma non è l’umanità in senso generico che sta trasformando la storia della Terra e dell’umanità stessa. No. Persone, società, culture diverse la potranno trasformare in modi diversi. La storia dell’antropocene è appena iniziata e davanti a noi esistono diversi tipi di antropocene, alcuni migliori, altri peggiori. C’è la possibilità dell’autodistruzione umana e c’è la possibilità di plasmare un futuro sostenibile.
La capacità di decidere viene idotta dalla complessità? No. Dobbiamo sempre decidere caso per caso. E questo vuol dire assumersi la responsabilità del fatto che ogni decisione espone al rischio dell’incertezza. Così ogni decisione dipende da quali valori e prospettive vogliamo mettere in gioco… D’altra parte, non si può non scegliere: l’inazione, il né…né sono anch’esse scelte precise, motivate da valutazioni e motivazioni, e non sono per nulla atteggiamenti più consapevoli della complessità! Ogni decisione diventa una scommessa, perché parte da previsioni incerte e comporta dei rischi. Affrontare l’incertezza e abitare la complessità significa non cedere alla paura e alle pulsioni securitarie, di chiusura, di separazione, di dominio. La complessità ci sfida a pensare e agire per tessere, legare, unire, federare.
6) LE LINEE D’AZIONE
Oggi l’ignoranza non è la mancanza di conoscenza, ma si annida nel modo in cui la conoscenza è prodotta e organizzata, nella conoscenza semplificante, parcellizzata, accumulata, algoritmica. L’iperspecializzazione impedisce di vedere la complessità perché la frantuma in tante parti e la dissolve. Così, le soluzioni cercate e proposte sono il più delle volte, esse stesse, parte e causa del problema. La complessità ci sfida a riconoscere e affrontare l’incertezza; a modificare le linee d’azione in funzione di cambiamenti imprevisti, di novità radicali; a pensare creativamente strategie di riorganizzazione non in vista di un ritorno a una supposta normalità precedente alle crisi e ripristinabile, ma in vista di un futuro che possa integrare la capacità di reagire alle perturbazioni incontrate. La guerra in Ucraina influenzerà la crisi energetica che influenzerà la crisi economica che influenzerà la crisi sociale che influenzerà la crisi geopolitica che influenzerà la crisi della pace che influenzerà…
7) SOLIDARIETÀ E FRATELLANZA
La nuova condizione umana globale chiede di scommettere sulla necessità di sviluppare la coscienza di una solidarietà, e più ancora di una fraternità universale. Lo rivelano drammaticamente la pandemia, il rischio di una guerra nucleare globale, il pericolo di una catastrofe climatica. La fraternità è stata la promessa mancata della modernità. Ma nel XXI secolo potrà essere la protagonista, dopo che la libertà e l’uguaglianza lo sono state nei secoli XIX e XX. Nessuno si può salvare da solo. È una nuova condizione umana, complessa, in cui tutto è connesso.
7 maggio 2022 (modifica il 7 maggio 2022 | 23:52)
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, 2022-05-07 21:56:00, L’attitudine a semplificare è talmente radicata nella nostra cultura, anche politica e sociale, che è difficile “vedere” e accettare le interconnessioni. Un filosofo della complessità, parola chiave del nuovo mondo, spiega come non farsi bloccare dalla paura e dall’incertezza, impegnandosi a plasmare il migliore fra i tanti futuri possibili. Percorso in sette punti, Mauro Ceruti