di Leonardo Caffo
La filosofia occidentale ha fondamento nel principio di non contraddizione. Ma filosofi come Priest sostengono che alcune contraddizioni possono essere vere. Incontro (e non scontro) fra Aristotele e il pensiero orientale
Graham Priest è un filosofo britannico poco “pop” ma molto famoso, soprattutto tra i filosofi di professione, che ha saputo coniugare la ricerca in filosofia della matematica e della logica con i principi filosofici del buddismo e la rilettura critica di pensatori spesso ostici per i filosofi analitici che pure a Priest si ispirano, uno su tutti Martin Heidegger e la sua teoria sul significato del pensiero. È stato professore di filosofia presso il CUNY Graduate Center, di cui ora è membro emerito, ma anche professore presso l’Università di Melbourne e l’Università di St Andrews. Ha pubblicato sulle più prestigiose riviste di filosofia e scritto decine di libri, il più complesso e recente su cui questo dialogo si è concentrato è What Can’t be Said: Paradox and Contradiction in East Asian Thought (Oxford University Press 2021), una articolata disamina sui limiti del pensiero linguistico, l’idea di contraddizione così come l’ha caratterizzata nella sua celebre teoria del “dialetismo”, e soprattutto la possibilità di comprendere le specifiche regole «di ciò che non può essere detto» entro un dialogo costante tra filosofia occidentale e orientale. In italiano è stato pubblicato Logica (Codice Eidizioni, 2012)
«MOLTE COSE DEL MONDO ETICO E SOCIALE SONO CONTRADDITTORIE: IL CONFINE FRA LA VITA E LA NON VITA, LA COLPEVOLEZZA E LA NON COLPEVOLEZZA»
Professor Priest, vorrei iniziare dalla sua teoria più complessa. Il “dialetismo”, l’idea rivoluzionaria per cui la contraddizione non rappresenta un limite delle argomentazioni, rendendole infondate, ma una caratteristica della realtà a cui la nostra logica deve adattarsi. Come cambia il modo di pensare della filosofia occidentale, costruita sull’idea del principio filosofico medievale per cui da una contraddizione segua qualsiasi cosa (“ex falso quodlibet”), con la sua idea di osservare “contraddizioni vere” nel reale?
«Per prima cosa in realtà dovremmo capire cosa sia una contraddizione tecnicamente, un enunciato con una struttura in cui coesistono due entità apparentemente incompatibili come A e non A. Per esempio “Trump è corrotto e non è corrotto”, “Leonardo è calvo e non è calvo” … qualcosa appunto di inaccettabile per la nostra filosofia occidentale almeno da Aristotele in avanti. Se un argomento filosofico arriva a contraddizione allora non funziona, succede ciò che appunto ricordava lei con il principio medievale per cui data la falsità per eccellenza — la contraddizione — tutto può seguire e un sistema di comprensione del mondo collassa per sempre e diventa inutilizzabile. Con “dialetismo”, termine che ho coniato insieme ad alcuni colleghi per descrivere la mia teoria, intendo comprendere come alcune contraddizioni però siano meno esplicite e risolvibili di quelle che ho appena citato».
«Pensiamo ai paradossi degli stoici, quindi della filosofia classica; pensiamo a quello del mentitore “Io sono un bugiardo e mento sempre. La frase che segue è vera”. Se la frase è vera allora non è vero che abbiamo un bugiardo davanti ma allora sarebbe falsa l’ammissione del bugiardo, e se è falsa allora è un bugiardo ma non possiamo credere a ciò che dice. Come ne usciamo? Questo genere di contraddizioni strutturali sono quelle per cui abbiamo formulato logiche cosiddette “paraconsistenti” con cui la contraddizione diventa qualcosa con cui convivere, appunto qualcosa di vero. Ci sono dei precedenti nobili a pensieri del genere, penso a Eraclito, Hegel con la sua dialettica, ma anche i filosofi buddisti e taoisti».
Pensavo ai koan proprio del buddismo mentre citava i paradossi stoici … alla sciocca distinzione tra logica (filosofia occidentale) e misticismo (filosofia orientale). A come in realtà questa idea della contraddizione “vera” sia molto più presente di ciò che sembra.
«Si è sciocco come distinguo perché possiamo trovare misticismo in occidente e logica in oriente e queste distinzioni popolari sono davvero poco accurate rispetto a come stanno davvero le cose. In India proprio contemporaneamente ai nostri pensatori medievali c’erano filosofi che dicevano cose similissime sulla struttura del reale, mentre invece se prendiamo sul serio molte frasi e teorie di Ludwig Wittgenstein su ciò che non possiamo dire (pensiamo a come si chiude il suo libro più celebre, il Tractatus) o i ragionamenti sull’essere di Heidegger che caratterizzano il suo Essere e tempo siamo davanti a questioni molto più mistiche che intellettuali. Il punto è che poi pensiamo che misticismo significhi sinonimo di irrazionalità e questo è sbagliato, molto limitato … Lei citava i koan, le storielle zen paradossali che sono estremamente celebri anche in occidente, ed effettivamente sono strumenti non dissimili da quei paradossi che citava con cui la filosofia buddista ci mette davanti a contraddizioni intellettuali per farci capire che la realtà che esperiamo è diversa dalla realtà in quanto tale. Che ne è della vera realtà, direbbero i buddisti ma anche i mistici Wittgenstein e Heidegger? È ineffabile, così di solito si risponde».
Una parte importante della sua filosofia recente è proprio su questo concetto di ineffabilità se non erro …
«Sì, perché ineffabile dovrebbe significare che non si può dire, ma nel momento in cui diciamo che non si può dire non stiamo comunque dicendo qualcosa a suo riguardo? Un tipico paradosso delle filosofie che dicono che esiste qualcosa di non dicibile con il linguaggio è proprio questo. Penso ad Heidegger che sostiene che l’essere non è un oggetto ma poi ne produce una teoria (dunque ne fa “oggetto” di teoria), alla famosa frase di Wittgenstein sul non dire cosa che invece lui dice e come. Se prendiamo sul serio l’ineffabile in effetti l’idea della meditazione buddista per esempio ha un senso importante: ciò che non si può dire, l’ineffabile, appunto non si dice ma si pratica. E allora in qualche strano senso c’è una coerenza più filosofica in questa idea che nel parlare di ciò di cui non si parla».
Non mi è tuttavia immediatamente chiaro se il dialetismo sia una posizione epistemologica (riguardo ciò che sappiamo del mondo) o metafisica (riguardo come è fatto il mondo). Mi sembra una distinzione essenziale per capire la sua teoria.
«Domanda complessa. L’idea di convivere con le contraddizioni e produrre una logica che le accetti e le comprenda è sicuramente ontologica, ovvero riguarda la struttura più profonda della realtà, di come dovrebbe essere a prescindere da noi. Eppure ci dice anche qualcosa riguardo i nostri limiti di comprensione del reale ma non direi che è epistemologica, tecnicamente è semantica e riguarda la chance di attribuire significati alla maggior parte delle nostre frasi che se non sanno convivere con la contraddizione restano né vere né false. Come possiamo avere evidenze semantiche di contraddizioni date tutte le cose di cui abbiamo discusso fino a ora? Certo, il mondo è fatto così e non così, ma dobbiamo poi sviluppare strumenti linguistici per dire qualcosa su questo stesso mondo (una immagine del mondo). La logica classica, nata con Gottlob Frege e Bertrand Russell, produceva una semantica incapace di sposarsi con l’idea ontologica del dialetismo, ed è la ragione per cui abbiamo dovuto produrre una nuova logica per una nuova metafisica in cui la contraddizione semplicemente esista. Ogni approccio alla realtà contraddittoria è in qualche misura condannato ad ammettere linee di confine di qualche tipo per capire cosa abbiamo davanti. La mia idea, per semplificare il più possibile, è che un approccio è tanto migliore quanto meglio riesce a spiegarci perché riteniamo implausibili tali linee di confine».
Sbaglio se vedo anche delle applicazioni morali o meglio bioetiche di questa teoria?
«Certo, esiste una fondamentale applicazione del dialetismo in morale ma sarebbe tutta un’altra intervista. Brevemente diciamo che molte cose del mondo etico e sociale sono contraddittorie, il confine tra la vita e la non vita, la colpevolezza e la non colpevolezza, l’età della consapevolezza e quella della non consapevolezza. Avere una riforma “dialetista” della morale, anche se dovremo prima capire cosa significhi filosofia morale in senso più profondo, significa convivere con la risoluzione non binaria degli enunciati della bioetica per esempio, ma anche convivere con contraddizioni in cui morale e legge non coincidono. Anche questa è una cosa che mi lega al buddismo concettualmente, la struttura essenziale del nostro sapere morale è contraddittorio e non è un problema di per sé ma dei modi con cui normalmente affrontiamo questo sapere che non riescono a convivere con le sfumature di grigio che esistono tra il bianco e il nero».
Professore, lei insegna da decenni in università molto prestigiose. Che scuola di filosofia si immagina per il futuro? Lei è anche maestro di Karate, pratica buddismo, eppure appunto appartiene a una filosofia molto classica apparentemente lontano dall’universo delle pratiche. Non pensa che sarebbe bellissimo avere scuole di filosofia in cui tutte queste cose di mettono insieme?
«Si. Nel mio caso il Karate però non è arrivato con o attraverso la filosofia, soprattutto quando vivevo in Australia facevo sia il giudice che il maestro di Karate ed era una attività sconnessa dalla filosofia anche se prendeva una parte importante della mia vita. Mi sono poi certo trovato a connettere gli ambiti, ovviamente Karate e buddismo sono assai più connessi tra loro da sempre di quanto non lo siano alla filosofica classica e più occidentale e lì il collegamento è naturale. Però, come diceva qualcuno, mens sana in corpore sano … e credo sarebbe ancora un ottimo precetto per costruire una scuola in cui filosofia, sapere corporale, sapere non occidentale, si fondando insieme. Ma la cosa più importante credo sia lo studio di tradizione comparate, di avere degli ottimi corsi di filosofia orientale e non solo di filosofia occidentale, studiare la Scuola di Kyoto proprio come si studia quella di Francoforte, avere dimestichezza con la logica classica così come con le logiche non occidentali. C’è sicuramente molto da rivedere nelle nostre scuole di filosofia, ma forse basterebbe guardare con rinnovata attenzione alle scuole greche delle origini».
19 marzo 2022 (modifica il 19 marzo 2022 | 08:05)
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, 2022-03-19 07:12:00, La filosofia occidentale ha fondamento nel principio di non contraddizione. Ma filosofi come Priest sostengono che alcune contraddizioni possono essere vere. Incontro (e non scontro) fra Aristotele e il pensiero orientale, Leonardo Caffo
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