La Cultura che serve alla città

La Cultura che serve alla città

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Mezzogiorno, 18 marzo 2022 – 09:56

di Paolo Ricci

Parlare di cultura in una città come Napoli non è affatto semplice. Proverò, attraversando gli stimoli del dibattito in corso e del recente incontro pubblico organizzato dal Comune, a svolgere qualche riflessione. Lo farò anche, se non soprattutto, facendo leva sulla breve ma intensa esperienza di Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli; ruolo che ho avuto l’onore di ricoprire per un triennio, da dicembre 2014 a dicembre 2017. Ricordo la meraviglia che in alcuni colleghi albergava nei giorni immediatamente successivi alla nomina: un economista aziendale alla guida dell’Accademia. Meraviglia ingiustificata; da tempo, infatti, norme e prassi spingono in tutto il mondo nella direzione di far lievitare la managerialità nella formazione e nella gestione nel campo dell’arte. Durante quel mandato, di nomina ministeriale, ebbi modo di valutare le grandi opportunità, di crescita cittadina, e le insidiose minacce, da sottovalutazione di alcuni precisi fenomeni, propri della pianificazione in ambito culturale. Al di là delle scontate iniziali difficoltà amministrative, dovute principalmente alla scarsità delle risorse e alla inadeguatezza delle riforme del comparto Afam (Alta formazione artistica, musicale e coreutica), riforme su cui non mi soffermerò in questa sede, ciò che apparve chiaro e tuttora appare evidente, è che occorre muoversi considerando alcune logiche ormai indispensabili.

Eccole: 1) le politiche culturali obbligano ad una visione sistemica, una visione che sia in grado di tenere assieme contemporaneamente soggetti, siti, relazioni e organizzazioni. Politiche capaci di incedere in concreto si possono elaborare e attuare solo se pensate con un approccio olistico. Poco e male si farebbe, e normalmente si fa, quando le politiche vengono intese come un insieme di iniziative, progetti o slanci, slegati tra di loro, a beneficio di alcuni limitati interessi, per quanto legittimi e degni essi possano essere. La visione sistemica implica misurazioni, comparazioni, analisi e messa in discussione dell’esistente, sotto vari profili; 2) la sfera dell’arte e la capacità di quest’ultima di poter influenzare significativamente la qualità della vita cittadina si sono ampliate a dismisura. La stessa arte, per citare Mario Perniola, si è «espansa», trasformando molto, o addirittura tutto, in gesto artistico, con il rischio di deprimere la qualità complessiva della produzione e della sperimentazione. Il processo di legittimazione, direi dell’autolegittimazione, dell’evento culturale è sempre più precario, meno convincente. Le accademie, i conservatori, i luoghi della ricerca e della formazione possono contribuire positivamente e avere una funzione non secondaria; 3) il ruolo dei privati nello sviluppo delle politiche culturali è determinante, decisivo, non tanto per le sempreverdi ragioni economiche e finanziarie.

L’identità culturale di un territorio, di una città, si rafforza con il concorso di tutti, inevitabilmente, inconsapevolmente. Se c’è qualcosa di non statico e di non immobile è proprio l’identità culturale di una comunità: come sostiene François Jullien il dinamismo, lo scambio e la permeabilità sono gli elementi essenziali che la caratterizzano. Le differenze o gli «scarti» fanno lievitare un progetto. Una collaborazione fatta di partecipazione e di proposte, auspicabilmente lontana da pericolose derive autoreferenziali; una collaborazione che eviti di generare confusione di posizioni e di responsabilità. Una fraintesa democratizzazione dei processi culturali può avere effetti e implicazioni indesiderabili; 4) la cultura nella città deve essere accompagnata, forse preceduta, dalla cultura «della» città. Se la città non è profondamente e sinceramente avvertita da chi la vive come luogo di incontro e di confronto, come comunità che amalgama, per ricordare una delle prospettive care ad Aldo Masullo, risulta più complesso superare le possibili tentazioni all’autocompiacimento, superare l’idea un po’ elitaria di città come «oggetto nostalgico» da preservare. La cultura della città come opportunità attuale di trasformazione.

18 marzo 2022 | 09:56
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, 2022-03-18 08:57:00, ,

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