La guerra, le riforme e le elezioni. Il governo e le tre agende che non coincidono

La guerra, le riforme e le elezioni. Il governo e le tre agende che non coincidono

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di Francesco VerderamiDraghi e i partiti che non hanno fatti i conti con il Pnrr. Tra dem e forzisti c’è chi dice: al premier servirebbe un Gianni Letta

A forza di chiedere il cessate il fuoco in Ucraina, i partiti hanno dimenticato di applicarlo in Italia. Perché i problemi politici non sono scomparsi con la guerra. È vero, oggi l’agenda internazionale è prioritaria. Ma c’è anche un’agenda interna che impegna le Camere sulle riforme da varare. E c’è infine un’agenda elettorale, a breve e medio termine. Queste tre agende non coincidono. Allora ha ragione Renzi quando dice che «se non ci fosse stato Putin saremmo stati alla vigilia di una crisi di governo. E Draghi ne avrebbe approfittato per togliere le tende. Ma Putin c’è
, la crisi non si può aprire e Draghi non se ne può andare». Così lo scontro sulla delega fiscale aperto dal centrodestra — e che avrà una coda sul catasto la prossima settimana — non sembra minacciare la tenuta di governo. Salvini e Berlusconi
non hanno la voglia e nemmeno la forza di rompere con Draghi: «Siamo condannati al 2023», spiega un autorevole dirigente forzista.

La stabilità però è un’altra cosa, infatti il governatore leghista Fedriga prevede che «di qui al voto aumenteranno le fibrillazioni»: «Mi auguro non si pensi di sacrificare l’azione di governo sull’altare della campagna elettorale». La voglia di sganciarsi dalla grande coalizione e di tornare presto alle urne — nonostante il conflitto in Ucraina — continua ad attraversare i partiti di maggioranza. Prende un pezzo del Carroccio, coinvolge l’area grillina e arriva fino al Pd. Al punto che un membro della segreteria dem invita ad aspettare giugno per capire come si sarà evoluta la crisi a Kiev e come sarà finita la sfida delle Amministrative. Ammettendo sottovoce di tifare per il voto a ottobre.

Ecco perché non regge il cessate il fuoco tra le forze di governo, dove i fan delle urne confidano nell’incidente parlamentare. E arrivano a sfidare l’evidenza della situazione internazionale, nella speranza di evitare che l’ultimo tratto di legislatura cambi la geografia politica nazionale. E stravolga i loro piani. Ma c’è anche un altro aspetto, che riguarda il tema dei provvedimenti all’esame delle Camere e sul quale sono gli stessi vertici dei partiti a essere preoccupati, perché temono di pagare elettoralmente dazio: dalla riforma della concorrenza a quella della giustizia, dal codice degli appalti ai meccanismi di carriera nella scuola, ogni norma mette a rischio interessi consolidati e quindi pacchetti di voti.

Draghi coglie questa ansia ogni qualvolta discute con i leader della maggioranza, ma vorrebbe che comprendessero l’inevitabilità del passaggio: non possono non sapere che le «condizionalità» del Pnrr non sono come le «raccomandazioni» della Commissione. Le riforme vanno fatte, e secondo le scadenze stabilite. O le risorse europee non arrivano. La guerra peraltro ha provocato un cambio radicale di scenario: come si porranno i partiti davanti alle scelte del governo sulla politica economica e su quella energetica per ridurre la dipendenza da Mosca?

A fronte dell’emergenza bellica, il premier ha irrigidito il suo atteggiamento poco incline a continue e estenuanti mediazioni con la maggioranza. Ce n’è la prova nel braccio di ferro con il centrodestra sulla riforma fiscale. E dire che Berlusconi l’aveva preannunciato a Salvini la scorsa settimana, quando si erano visti in pizzeria. Quella sera il leader della Lega aveva anticipato al Cavaliere l’intenzione di non votare la modifica del catasto: «Guarda che Draghi non ci sente e noi dovremo sostenerlo fino in fondo». «Ma c’è la guerra…».

L’ex premier aveva visto giusto. Ora Salvini si prepara a chiedere a Draghi di non mettere la fiducia, ma Palazzo Chigi è pronta a usarla. E poco importa se si tratta di una legge delega: «La fiducia è stata usata persino per la riforma elettorale». Resta la durezza dello scontro in Commissione, e il modo in cui la sottosegretaria Guerra ha posto l’aut-aut. Che non è piaciuto nemmeno ai rappresentanti del Pd: «Perché un conto era tener ferma la linea impartita dal governo, altra cosa aver usato quei toni». Ed è lì che i commenti dei dem e dei forzisti coincidono: «A Draghi servirebbe un Gianni Letta».

4 marzo 2022 (modifica il 5 marzo 2022 | 00:06)
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, 2022-03-04 23:07:00, Draghi e i partiti che non hanno fatti i conti con il Pnrr. Tra dem e forzisti c’è chi dice: al premier servirebbe un Gianni Letta, Photo Credit: , Francesco Verderami

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