Elaborazione Ispi su dati Agsi
Stavolta la guerra geopolitica sul gas è diventata esplicita. Non più velata, celata da supposti lavori di manutenzioni alle turbine delle centrali di compressione (vedi il caso Nord Stream 1 che oggi dovrebbe riaprire, ma il condizionale è d’obbligo). Stavolta il monopolista russo del metano, Gazprom, è venuto allo scoperto con una nota irrituale che evidenzia la minaccia ma nasconde al tempo stesso un certo grado di apprensione. Leggiamola: se i grandi Paesi europei dovessero riuscire a portare le proprie scorte di gas «vicine ai massimi» (e per ora viaggiano intorno all’80-85%) ciò «non garantisce di superare la stagione dell’autunno-inverno in modo affidabile». Quanto c’è di vero in questa affermazione?
Cominciamo col dire che è una mezza verità e una mezza finzione. Perché è indubitabile che se Mosca oggi, ma anche nei prossimi mesi almeno fino a marzo 2023, decidesse di azzerare i flussi, l’impatto per l’Europa sarebbe drammatico. S’imporrerebbero pesanti piani di razionamento all’industria e ai consumi civili e residenziali che toccherebbero in buona parte anche l’Italia che ha fatto comunque un eccellente lavoro di diversificazione di import di materia prima scommettendo sul Maghreb (in primis l’Algeria). Questo perché pur riempiendo gli stoccaggi al 100% ciò consentirebbe di coprire circa un quinto della nostra domanda di gas. Il sistema di depositi, per la gran parte gestito da Snam (che ne controlla nove siti su undici per oltre 16,5 miliardi di metri cubi di riempimento), copre circa il 20% del fabbisogno annuale di gas dell’Italia che nel 2021 ha toccato i 76 miliardi di metri cubi. Come evidenziano le elaborazione Ispi su dati Agsi.
La Russia nel 2021 ha fornito il 38% della materia prima e seppur in quest’anno drammatico il nostro Paese è riuscito a diminuire fortemente la dipendenza da Mosca siamo ancora lontani dall’autosufficienza e dall’indipendenza energetica. Abbiamo ridotto al 18% la quota di import russo sul totale, significa che a fine anno arriveremo a circa 13-14 miliardi di metri cubi di importazione russa dal punto di Tarvisio rispetto ai 29 miliardi di metri cubi erogati l’anno scorso, ma è chiaro che senza questa fornitura il sistema va in difficoltà. Per questo Cingolani, nel suo piano di emergenza, ha messo sotto la lente il mese di marzo 2023, e in buona parte anche gennaio e febbraio.
Perché gli stoccaggi, ora all’83%, permettono di coprire l’inizio dell’inverno senza criticità ma poi, se il flusso fosse azzerato senza fonti alternative di approvvigionamento in grado di compensare per intero la materia prima russa, resteremmo a corto. Al momento questa capacità di sostituzione non esiste sul mercato ed è previsto che ci sia per intero solo nel 2024 grazie ai contratti di fornitura stipulati dal governo, per buona parte via gasdotto da Algeria e Azerbaijan (via Tap) e per la restante parte grazie alle forniture di gas naturale liquido firmate dall’Eni per conto dell’Italia con Qatar, Angola, Egitto, in piccola parte Mozambico e la stessa Algeria.
Ecco perché la sicurezza energetica passa in buona parte dal rigassificatore di Piombino che il governo si aspetta in funzione entro marzo 2023. Non è un caso che sia questa la data. Senza i 5 miliardi di capacità di rigassificazione di gas liquido della nave galleggiante comprata da Snam — da installare in porto dove c’è già una darsena in grado di ospitarla ed è vicina alla rete di gasdotti del gestore controllato da Cassa Depositi — il Paese va in sofferenza perché nell’inverno la domanda di gas per uso civile schizza verso l’alto per le centrale termiche degli edifici alimentate a gas. Nei giorni più freddi la domanda sale anche a 400 milioni di metri cubi e la procedura di emergenza in tempi normali già prevede il distacco di utenze industriali programmate (si chiamano interrompibili volontari) che incentivati con un sistema di aste pubbliche decidono di fermare o ridurre la produzione senza compromettere la manifattura.
Probabilmente questo inverno, senza import russo, la situazione si complicherà ulteriormente. Ieri il ministro Cingolani, nell’informativa in Consiglio dei ministri, in caso di scenario peggiore ha informato i colleghi che servirà ridurre la domanda di 6 miliardi di metri cubi, pari a circa l’8% del fabbisogno. Solo agendo sulle utenze civili. Da qui due gradi e due ore in meno al giorno negli edifici. Enea calcola anche che serviranno almeno due settimane in meno di accensione da programmare magari a inizio novembre e fine marzo quando le temperature sono più clementi. Se il clima fosse mite però ciò aiuterebbe a superare la tempesta. L’emergenza climatica stavolta potrebbe venire in soccorso, ma è una magra consolazione. Nel mentre i prezzi delle bollette sono impazziti trainati dall’andamento del prezzo del gas alla Borsa di Amsterdam. Preoccupazione espressa anche da Unirima, l’associazione delle imprese del riciclo della carta, che denuncia il rischio del fermo delle produzioni.
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, 2022-09-02 13:39:00, Il sistema di depositi per la gran parte gestito da Snam copre un quinto del nostro fabbisogno annuale di metano. Pur alzandolo al 100% non basta a soddisfare la domanda invernale. Ecco perché serve il rigassificatore di Piombino, Fabio Savelli