La politica del salto sul carro

La politica del salto sul carro

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l’editoriale Mezzogiorno, 13 aprile 2022 – 09:24 di Alessio Viola Ho visto le migliori menti della generazione degli attuali sessantenni struggersi nel rimpianto della politica di una volta. Da vent’anni almeno, migliaia di convegni, testi di scienza politica, saggi, studi, cercano di spiegare il perché della fine dei partiti, delle ideologie, della politica. Il fenomeno del trasformismo ha raggiunto limiti oltre il patologico, per diventare fisiologica componente del sistema politico e parlamentare. Perché tutto questo si arrovella ancora oggi le (ex) migliori menti della generazione degli attuali sessantenni? La risposta ancora una volta non poteva che venire dalla Puglia. Dove finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di gridare che il re è nudo. I motivi appartengo alla antica saggezza popolare di una città mercantile – Bari – che resta ancorata alla domanda che da sempre sovrintende ai suoi traffici e commerci di ogni natura, a partire soprattutto dalla politica: ce stè p’mmè? (traduzione: cosa c’è per me?) Ecco spiegato l’arcano, tradotto in discreto italiano dal consigliere regionale Stefano Lacatena, sconosciuto al grande pubblico ma ben inserito da tempo nella politica amministrativa locale. Lacatena annuncia il suo passaggio da Forza Italia al mare magnum emilianista, dove ogni straniero è accolto con amore. «Sono stanco di perdere, di fare parte di una squadra che non vince mai», sono le parole per annunciare la transizione senza in alcun modo fare ricorso al dialetto. Sottotesto: siamo in guerra e il bottino spetta solo alla squadra vincente. Ecco svelato alle migliori menti il senso delle politica moderna: l’importante non è gareggiare ma vincere. Con tanti saluti allo spirito olimpico. La Puglia degli ultimi venti anni questo è stato, un continuo saltare sul carro dei vincitori: tutti fittiani a cavallo dei due secoli, tutti vendoliani dopo, tutti emilianisti da sempre. Erano squadre dal fascino irresistibile. Il punto oggi: ideologie? Nada. Partiti? Niet. Bisogni sociali? What? Qui conta solo vincere e spartire tutto lo spartibile, chi resta fuori ha poche chance di toccare palla come dicono i calciofili. È la nuova politica, bellezza, e non ci possiamo fare proprio niente. Si diceva, il Covid ci cambierà. Infatti ci ha peggiorati tutti. Il capo della Protezione civile che smazzettava sulla pandemia è da poco fuori prigione. Non sappiamo ancora chi e quanti fossero i membri della sua rete, tranne qualche pesciolino. La guerra ci cambierà? Non sembra proprio. Un Paese che accetta senza battere ciglio che si decida di tagliare sulla sanità è un Paese che rischia di restare devitalizzato per sempre. Onore dunque al consigliere ignoto che ha gridato al mondo che la politica si fa per vincere: stranamente – ma sul serio stranamente – coincide con il pensiero di chi ama e pratica le guerre. 13 aprile 2022 | 09:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-04-13 07:25:00, l’editoriale Mezzogiorno, 13 aprile 2022 – 09:24 di Alessio Viola Ho visto le migliori menti della generazione degli attuali sessantenni struggersi nel rimpianto della politica di una volta. Da vent’anni almeno, migliaia di convegni, testi di scienza politica, saggi, studi, cercano di spiegare il perché della fine dei partiti, delle ideologie, della politica. Il fenomeno del trasformismo ha raggiunto limiti oltre il patologico, per diventare fisiologica componente del sistema politico e parlamentare. Perché tutto questo si arrovella ancora oggi le (ex) migliori menti della generazione degli attuali sessantenni? La risposta ancora una volta non poteva che venire dalla Puglia. Dove finalmente qualcuno ha avuto il coraggio di gridare che il re è nudo. I motivi appartengo alla antica saggezza popolare di una città mercantile – Bari – che resta ancorata alla domanda che da sempre sovrintende ai suoi traffici e commerci di ogni natura, a partire soprattutto dalla politica: ce stè p’mmè? (traduzione: cosa c’è per me?) Ecco spiegato l’arcano, tradotto in discreto italiano dal consigliere regionale Stefano Lacatena, sconosciuto al grande pubblico ma ben inserito da tempo nella politica amministrativa locale. Lacatena annuncia il suo passaggio da Forza Italia al mare magnum emilianista, dove ogni straniero è accolto con amore. «Sono stanco di perdere, di fare parte di una squadra che non vince mai», sono le parole per annunciare la transizione senza in alcun modo fare ricorso al dialetto. Sottotesto: siamo in guerra e il bottino spetta solo alla squadra vincente. Ecco svelato alle migliori menti il senso delle politica moderna: l’importante non è gareggiare ma vincere. Con tanti saluti allo spirito olimpico. La Puglia degli ultimi venti anni questo è stato, un continuo saltare sul carro dei vincitori: tutti fittiani a cavallo dei due secoli, tutti vendoliani dopo, tutti emilianisti da sempre. Erano squadre dal fascino irresistibile. Il punto oggi: ideologie? Nada. Partiti? Niet. Bisogni sociali? What? Qui conta solo vincere e spartire tutto lo spartibile, chi resta fuori ha poche chance di toccare palla come dicono i calciofili. È la nuova politica, bellezza, e non ci possiamo fare proprio niente. Si diceva, il Covid ci cambierà. Infatti ci ha peggiorati tutti. Il capo della Protezione civile che smazzettava sulla pandemia è da poco fuori prigione. Non sappiamo ancora chi e quanti fossero i membri della sua rete, tranne qualche pesciolino. La guerra ci cambierà? Non sembra proprio. Un Paese che accetta senza battere ciglio che si decida di tagliare sulla sanità è un Paese che rischia di restare devitalizzato per sempre. Onore dunque al consigliere ignoto che ha gridato al mondo che la politica si fa per vincere: stranamente – ma sul serio stranamente – coincide con il pensiero di chi ama e pratica le guerre. 13 aprile 2022 | 09:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

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