Per premunirsi contro la scarsità di gas naturale occorre previdenza, lungimiranza, capacità di anticipare i problemi e poi muoversi rapidamente per approntare le soluzioni. Su questo terreno la gara europea la sta vincendo un piccolo paese baltico, l’Estonia. Sarà estone il primo nuovo rigassificatore offshore ad essere inaugurato in tempi record – a novembre – dopo l’invasione russa dell’Ucraina e il ricatto di Putin sul gas.
Il nuovo terminale estone per convertire il gas liquido importato da altre parti del mondo – aggirando via mare i gasdotti che collegano l’Europa alla Russia – sarà una gigantesca piattaforma galleggiante in grado di accogliere le più grosse navi attrezzate per trasporto e trasformazione (rigassificazione) del gas liquido. Il cantiere marittimo per la sua costruzione è già allo stadio conclusivo, al largo del porto di Paldiski. La velocità con cui l’Estonia si avvia a tagliare il traguardo del primo rigassificatore offshore post-Ucraina, è tanto più ammirevole in quanto questo paese dipende poco dalla Russia per il suo approvvigionamento energetico (pur avendo con la Russia un confine di circa 300 km).
A differenza dall’Italia e dalla Germania, i tre quarti del fabbisogno energetico dell’Estonia vengono soddisfatti con la produzione domestica di shale-oil, petrolio estratto da rocce con la tecnica del fracking o hydraulic fracturing.
Ma in fatto di previdenza e lungimiranza un altro paese baltico aveva battuto l’Estonia con largo anticipo: la Lituania, che fino al 2014 riceveva il 100% del suo gas da un singolo gasdotto russo della Gazprom, costruì un rigassificatore nel 2014, l’anno dell’invasione della Crimea da parte di Putin. Quando, cioè, le intenzioni del leader russo avrebbero dovuto apparire chiare a tutti.
Perché i rigassificatori sono essenziali
L’importanza dei rigassificatori oggi è aumentata considerevolmente: il gas liquido trasportato da apposite navi cisterna può venire da molti fornitori, tra cui i due maggiori produttori mondiali che sono gli Stati Uniti e il Qatar. Tra gli altri paesi produttori che sono attrezzati per fornire il gas via mare ci sono Norvegia e Australia. Le capacità di esportazione però sono limitate dall’esistenza di infrastrutture adeguate, cioè gli appositi terminal portuali nei paesi di partenza dove l’energia fossile viene trasformata dallo stato gassoso a quello liquido (per poter essere trasportata), poi nuovamente trasformata nel senso inverso al porto di arrivo; più le navi cisterna, alcune delle quali sono anche degli impianti di conversione galleggianti.
Tutti gli attori di questa partita si stanno adeguando alla nuova geografia della domanda mondiale, e ci vorranno almeno un paio d’anni per aumentare in modo sostanziale la capacità di trasporto e trasformazione del gas naturale via mare. L’Australia di recente ha annunciato una limitazione del suo export. Inoltre i paesi europei devono competere con quelli che erano i consumatori storici del gas liquido trasportato su navi cisterna: Cina, Giappone, Corea del Sud.
Quando agire? Ora
Ma per essere meno vulnerabili domani di fronte a nuove scarsità e nuovi shock energetici, bisogna agire subito. La piccola Estonia offre una lezione a chi in Italia continua a resistere e tergiversare sui rigassificatori. Tra gli altri paesi che si stanno dimostrando capaci di superare vecchi pregiudizi e resistenze dogmatiche: l’Olanda sta riesaminando l’opzione di fare ricorso al fracking per estrarre gas naturale dal suo sottosuolo, in barba alle leggende metropolitane sui danni di questa tecnica (che hanno messa al bando in Germania).
A chi volesse approfondire il panorama europeo dei rigassificatori consiglio di partire con questo reportage del New York Times. In quanto alla mancanza di previdenza dell’Italia segnalo questa critica dell’esperto energetico Alberto Clò sul blog della RivistaEnergia.it.
Questo passaggio si riferisce al fatto che da un lato il governo italiano minimizza i rischi di penuria di gas per questo inverno. «Vien da chiedersi come sia mai possibile che le istituzioni pubbliche con la mano destra (governo) spandano rassicurazioni, ottimismo, fiducia e con quella sinistra (regolatore) proiettino incertezze sulle disponibilità di gas e cifre da capogiro per le bollette difficilmente pagabili da una larga parte delle famiglie. Prepararsi al peggio: la lezione tedesca. Dire le cose come stanno, avendone piena contezza, dovrebbe essere invece l’approccio comunicativo che si dovrebbe seguire. Esattamente quel che sta facendo la Germania ove il governo di Olaf Scholz con piglio tutto tedesco sta paventando alla popolazione la possibilità di un worst case scenario nel gas che richiederebbe tra le misure di contrasto il mantenimento in esercizio delle tre centrali nucleari che avrebbero dovuto essere dismesse entro fine anno, come accaduto a dicembre con altre tre centrali. Il Governo va proponendo al Paese un ‘compromesso nazionale’ per evitare il peggio quest’inverno per economia e popolazione, col pieno supporto dei pragmatici Grünen». Il commento di Clò era stato scritto prima che il decreto Aiuti bloccasse gli aumenti delle bollette fino all’inizio del 2023. Il problema rimane, però: la scarsità del gas a monte non viene risolta da un provvedimento che interviene, a valle, sulle tariffe.
La prossima crisi… penuria di litio?
Lo chiamano «l’Arabia saudita del litio», è un pezzo di Cile dove si concentrano il 55% dei depositi mondiali di questo metallo, essenziale per fabbricare le batterie delle automobili elettriche. E non solo delle auto elettriche: il litio si usa anche nelle batterie per immagazzinare energia dai pannelli fotovoltaici. Il luogo in questione si chiama Salar de Atacama. Per noi occidentali però quel luogo strategico è causa di un doppio allarme. Primo, perché ad assicurarsi un contratto con il governo cileno per estrarre il litio è stato il colosso cinese BYD. Quindi si consolida il controllo di Pechino su questa risorsa strategica per la transizione verde. Secondo allarme: perfino BYD è in un mare di guai, perché una coalizione di indigeni e di ambientalisti è riuscita a bloccare quel contratto, accusando l’attività estrattiva di causare gravi danni alle risorse idriche locali. Per adesso la Corte costituzionale cilena ha dato ragione a questo ricorso e l’estrazione del litio in quel sito è ferma, come documenta The Wall Street Journal.
12 agosto 2022, 22:13 – modifica il 12 agosto 2022 | 22:13
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, 2022-08-12 20:18:00, Dal Nord una lezione sui rigassificatori (che noi blocchiamo). La carenza di litio rischia di essere la prossima crisi,