La scuola cattolica, luogo di comunione

La scuola cattolica, luogo di comunione

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di Giancarlo Tettamanti*

I vari documenti del Magistero della Chiesa – a partire dal documento base della “Congregazione per l’Educazione Cattolica” del 1977 – nel riconsiderarli nel momento attuale, offrono una grande occasione non soltanto per riflettere sul ruolo dei genitori nella scuola cattolica, ma anche – seppur in margine allo stesso tema – per un confronto sulla scuola cattolica come momento e strumento di formazione culturale.

Vi sono stati molti qualificati interventi che hanno evidenziato i diversi aspetti della tematica posta in esame, di conseguenza mi limiterò ad alcuni aspetti che ritengo possano servire (forse) per attivare un prosieguo del cammino ampliando lo sguardo.

Sembra indiscutibile – proprio alla luce del Magistero della Chiesa – il fatto che la scuola cattolica, se vuole essere autentica “comunità educante”, non può prescindere dalla partecipazione e dal coinvolgimento dei genitori. Il valore di una scuola – e quindi anche, se non soprattutto, della scuola cattolica – deriva dalla capacità di riferirsi, e quindi di essere fedele, ad un preciso progetto educativo (PEI), che per la scuola cattolica è progetto ben definito e “non negoziabile”, e di articolare un percorso (POF) che porti alla formazione autentica ed integrale della persona, e quindi al conseguimento degli obiettivi posti dal progetto educativo (PEI), mediante il concorso promozionale, progettuale ed operativo di tutte le sue componenti. Il problema della partecipazione alla e nella scuola cattolica è problema di appartenenza, e quindi di condivisione, del progetto educativo cristiano, della stessa scuola cattolica e del suo carisma. È in base a questa appartenenza che nasce e si concretizza anche il coinvolgimento nella individuazione e nella realizzazione del POF. Da qui il discorso di una scuola cattolica come luogo di “comunione”. Luogo cioè di confronto, in cui si mettono insieme istanze, problemi, bisogni, soluzioni, prospettive, nonché luogo al quale si aderisce, e nel quale si condivide, ci si sente in sintonia educativa e quindi ci si sente di “seguire”, perché luogo di educazione degli adulti, e in quanto tale, luogo educante dei ragazzi e motivante il loro impegno culturale.

Il discorso partecipativo è discorso importante perché comporta un rischio culturale, educativo, gestionale, e spesso anche economico: perciò esige un discorso vero di coinvolgimento e di cooperazione che potrà essere estremamente stimolante nella misura in cui si constaterà lo stabilirsi di un rapporto autentico tra le persone e l’instaurarsi di un clima veramente favorevole e propositivo, capace di far capire e scoprire, in virtù di un modo autentico di vivere, la “dimensione comunitaria” della scuola. “Dimensione comunitaria” che è la conseguenza necessaria ed importante della condivisione del “patto educativo” che viene contratto tra la scuola e la famiglia. Quel “patto educativo” che è rapporto tra i titolari del servizio scolastico e i titolari del diritto di educazione, e che avvolge nelle loro specifiche funzioni e responsabilità il gestore, il docente, lo studente e il genitore: il gestore per quanto concerne il carisma educativo; il docente per quanto riguarda lo sviluppo educazionale mediante cultura e testimonianza; lo studente nella sua responsabilità autoeducativa; il genitore per quanto attinente la dimensione educativa umana e cristiana.

Il “patto educativo” ha, pertanto, una dimensione culturale: le varie componenti della comunità scolastica non sono presenti solamente come erogatori di un servizio o titolari di diritti, ma come persone che producono cultura attraverso la domanda e l’offerta di educazione e di istruzione. Quindi “patto” che costituisce il preambolo essenziale per l’assunzione di responsabilità educative sia da parte dei genitori e delle famiglie, sia da parte degli altri attori del patto stesso. Ecco che allora nasce la necessità di rapporti e di un lavoro integrativo tra i vari portatori di questa cultura. La comunità nasce nella misura in cui si confrontano i soggetti educativi riconosciuti, e ciò perché il “progetto educativo” possa essere tradotto efficacemente in prassi pedagogica e didattica. Da qui non soltanto il rapporto tra il singolo gestore e il singolo genitore, tra i due soggetti che contraggono il patto (in conseguenza di un colloquio personale), ma anche rapporto e confronto permanente tra coloro che favoriscono e rappresentano la sintesi sia dell’offerta che della domanda educativa: cioè rapporto di associazioni (organizzazioni) di dirigenti e gestori con associazioni di genitori. E ciò, da un lato, per trasmettere – da parte dei dirigenti e dei gestori – e far comprendere e maturare la visione funzionale del progetto educativo che caratterizza la scuola cattolica (e anche lo specifico carisma che la sottende), e dall’altro per evidenziare – da parte dei genitori e delle famiglie – la sintesi culturale propria e la disponibilità a tradurre in termini educativi ciò che è stato e che rappresenta il processo della propria maturazione. Il tutto nell’ottica di una sinergia ideale ed operativa.

La partecipazione dei genitori – anche se in certi casi così appare – non è e non può essere intesa come una presenza rivendicativa, come una rivendicazione di spazi o una pretesa sindacalizzante, ma è e deve essere concepita e assunta come presenza non conflittuale, ma collaborativa. In questo senso – anche in riferimento a obiezioni emerse ne – la collaborazione dei genitori può inserirsi anche a livello curricolare e didattico, laddove si dovessero verificare procedimenti pedagogicamente non consoni agli obiettivi educativi per i quali la scuola è stata istituita e scelta dai genitori. È vero che nella scuola si educa attraverso l’istruzione, attraverso lo sviluppo delle discipline scolastiche di cui sono pienamente responsabili i docenti, tuttavia capita di incontrare anche nelle nostre scuole un tipo di insegnamento “asettico”, cioè privo di quegli aspetti valoriali che giustificano l’affronto della materia e ne danno le ragioni: anche sotto questo aspetto la responsabilità dei genitori e la scelta da loro fatta di questo tipo di scuola (e non altro) deve essere compresa e rispettata, così come accettato un loro intervento correttivo e promozionale.

Sembra ovvio che – data la situazione culturale attuale, che incide anche sul problema della libertà di scelta, problema che se compiutamente affrontato aiuterebbe la scuola a fortificare la propria identità – occorre attivare presso i genitori e le famiglie un aiuto affinché abbiano a scoprire il loro ruolo educativo, il loro compito e la loro responsabilità. Ma non soltanto: anche un aiuto a scoprire la scuola cattolica come strumento per comunicare la tradizione cattolica e per far apprezzare ai figli la dimensione culturale familiare. Un aiuto che può essere attivato anche dalla scuola, ma non soltanto: è azione che va attivata per mezzo di tutte le istituzioni ecclesiali (particolarmente nell’ambito di una coerente pastorale familiare e scolastica). Azione che va supportata da una presenza capillare della scuola cattolica sul territorio: una carenza di presenze sul territorio che condiziona anche la stessa libertà di scelta educativa. Purtroppo – e qui siamo di fronte ad una prassi abbastanza diffusa che va corretta – non di rado la presenza della scuola cattolica viene, da organismi diocesani, sconsigliata a favore di istituzioni per anziani o altro (ciò avviene quando ordini religiosi, per obiettive difficoltà, decidono di ritirarsi e di cedere le strutture: in quel momento viene loro consigliato di non cedere ad altre organizzazioni dedite all’educazione scolastica, ma di favorire la destinazione delle strutture ad attività diverse).

La scuola cattolica è espressione della comunità cristiana. Possiamo chiamarla come vogliamo – o come politicamente sembra essere più utile (non dimenticando però che già in passato nella Chiesa c’è stato chi, ipotizzando la scuola come scuola della società, ambiguamente intendeva il superamento della scuola cattolica) – tuttavia non possiamo tralasciare di considerare la scuola cattolica come strumento della Chiesa. Sua funzione è quella di promuovere cultura cattolica come conoscenza ed esperienza, di aiutare a guardare giudicare e affrontare la realtà secondo libertà e Verità, attivando un processo di evangelizzazione tanto urgente quanto necessario nel contesto sociale attuale. La scuola cattolica o è “cristocentrica”, o – a mio parere – non ha motivo di esistere. E questa sua caratteristica, questa sua funzione, non soltanto deve essere collegata alla comunità cristiana tutta, ma da quest’ultima deve anche essere sostenuta. Sembra, tuttavia, che la scuola cattolica, più che sostenuta, sia tollerata. Non a caso si incontrano molteplici difficoltà di rapporto con le parrocchie e con molte associazioni e movimenti ecclesiali. E ciò senza contare anche che molti sacerdoti giovani osteggiano in modo esplicito e pubblicamente la scuola cattolica. Ci si chiede: ma che cosa viene insegnato loro nei seminari? È chiaro che il problema è grosso, tuttavia credo che non possa essere ignorato.

Mi sia concessa un’ultima osservazione in ordine all’associazionismo. Innanzi tutto credo sia necessario riattivare “Il seminario di aggiornamento insegnanti” – istituito, diversi anni fa, da Don Marco Barbetta – una aggregazione dei docenti di scuola cattolica: essi hanno problemi che si differenziano da quelli delle scuole statali. Inoltre una associazione dei docenti avrebbe l’opportunità di confrontarsi, di rapportarsi e di lavorare in sintonia con altre associazioni della scuola cattolica (studenti e genitori) a favore di una integrazione educativa formativa a maggior beneficio degli alunni e degli studenti. In secondo luogo necessaria, una chiarezza di fondo sull’AGeSC come unica associazione dei genitori delle scuole cattoliche.

L’AGeSC rappresenta – volenti o nolenti – tutti i genitori delle scuole cattoliche: a conferma sta tutta l’azione che a livello civile ed ecclesiale l’associazione ha svolto negli anni e continua a svolgere con alacrità e perseveranza a favore dei genitori tutti delle scuole cattoliche e a favore delle stesse scuole. Cosa che nessun’altra associazione ha fatto e fa. Certo potrebbe fare di più, tuttavia vanno evitate confusioni. Essa si pone come sintesi dei bisogni e delle istanze educative dei genitori e delle famiglie, ed è impegnata in un lavoro capillare sia sul versante politico (normativo ed economico, quanto sul versante educativo e formativo), con attenzione al doveroso e necessario protagonismo dei genitori e alla loro sinergica collaborazione con la scuola.

Certo: anche l’AGeSC ha dei limiti, così come ogni espressione umana. Tuttavia non si può negare l’impegno che profonde a favore dell’educazione, della famiglia e della scuola. Impegno che a mio avviso va condiviso e sostenuto! La situazione attuale di fatto ha sviscerato nella sua complessità una problematica che spesso va al di là del tema “scuola cattolica” posto all’attenzione e che spesso lo condiziona. Nella ricchezza di quanto detto, mi sono permesso di evidenziare alcuni aspetti con la speranza che possano servire ad aiutare la scuola cattolica ad essere veramente sé stessa. Non va tuttavia dimenticato l’ultimo documento della Congregazione per l’Educazione Cattolica, dal titolo “L’identità della scuola cattolica per una cultura del dialogo” (29 marzo 2022), un’ampia disamina dei principi e delle situazioni concrete che arriva a trattare anche aspetti pratici importanti, che non possono essere elusi.

*Socio Fondatore AGeSC

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, , Pubblicato da Redazione Tuttoscuola
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