“Siamo il primo Istituto Professionale nel raggio di trenta chilometri con un tasso di occupazione pari al 71 per cento di studenti di una stessa classe, che trova lavoro il più possibile aderente al percorso di studi svolti. E, tra questi, c’è un netto 70 per cento che riceve, nel giro di un paio d’anni, un contratto di lavoro a tempo indeterminato”.
Sono numeri del Polo Tecnico e Professionale Giorgio Fermi di Lucca, uno degli Istituti Tecnici più grandi di tutta la Toscana dove l’indice generale di occupazione post- scuola ha raggiunto quota 71 per cento. Lo ha spiegato ad Orizzonte Scuola la Dirigente Scolastica Paola Francesca Bini, che due anni fa ha raccolto l’eredità dei professori Fontanelli e Buonriposi, impegnati a costruire una scuola fortemente innovativa, sul modello dei Campus americani. Parliamo di un Istituto tecnologico che attualmente registra uno dei tassi di dispersione scolastica tra i più bassi d’Italia.
Preside Bini, come è stato raccogliere questa eredità e ci spieghi, brevemente, di che tipo di scuola si tratta?
Ho raccolto certamente un’eredità importante specie per la qualità del lavoro svolto dai miei predecessori. Provengo da un liceo Classico di medie dimensioni e da due anni dirigo quest’ Istituto scolastico che conta 2.600 studenti, 115 classi e 3 plessi. Si tratta di una struttura complessa: un Polo di istruzione e formazione appunto, con un Liceo Scientifico Scienze Applicate, un Liceo ad indirizzo Sportivo, un Istituto Tecnologico con sei indirizzi e un Istituto Professionale, al quale si aggiunge un FabLab Territoriale, con varie appendici formative sul versante informatico, elettrotecnico e meccatronico. Ma oltre al Sistema e alle strutture la Scuola ha nel tempo investito sull’innovazione didattica e pedagogica allestendo ad esempio ambienti di apprendimento modellati sul 4+1 di INDIRE, dedicati alla sperimentazione del Liceo Scienze Applicate Quadriennale con curvatura STEAM, e più in generale con numerose collaborazioni con Aziende, Università e Enti ed Associazioni del Territorio.
Proiettate quindi gli studenti direttamente nel mondo del lavoro: quali sono i settori di competenza e, soprattutto, ci dica se questo tipo di didattica così innovativa va a scapito dell’insegnamento umanistico?
No, sarebbe ingenuo ritenere che le discipline umanistiche siano antagoniste della cultura scientifica, è una semplificazione che porta a polarizzazioni sterili. Abbiamo ormai capito che l’integrazione disciplinare è uno dei fattori chiave per affrontare le sfide complesse dell’on-life nelle quali siamo immersi: ambiente, società, etica, cultura, economia, per essere analizzate e approfondite richiedono un sapere integrato. Molte sono le aziende che hanno cura di scegliere curricula sui quali costruire percorsi professionali “aumentati” o ibridati in base alle proprie esigenze, e di conseguenza il curriculum di molti giovani si sta arricchendo di nuove esperienze di istruzione formale. Così come di bagagli più articolati e di competenze trasversali, adatte anche a più focus lavorativi.
Ad esempio abbiamo interpretato la “A” di STEAM come “All” cioè come tutto ciò, per esprimere nuove sinergie e trovare risposte adeguate alla complessità del reale. Ovviamente la motivazione degli studenti è fondamentale e posso dire, con orgoglio, che siamo il primo Istituto Professionale nel raggio di trenta chilometri con un tasso di occupazione pari al 71 per cento e tra questi c’è un netto 70 per cento che nel giro di due anni riceve addirittura un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Ma voglio darle anche un altro dato significativo dell’indirizzo tecnologico: il 36 per cento dei nostri studenti si immatricola all’Università e il 50 per cento di essi ottiene buoni risultati.
In base alla sua esperienza e alla preparazione all’attività lavorativa svolta all’interno della sua scuola, come vede oggi i percorsi di alternanza scuola-lavoro?
In questo momento c’è poca fiducia nei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento (PCTO), bisogna invece fare un lavoro di concerto tra la scuola, le aziende, le Camere di commercio, Confindustria e, naturalmente, la famiglia per mettere in campo procedure coerenti con i bisogni del territorio ma anche con le aspirazioni al futuro degli studenti e delle studentesse. L’esperienza dei PCTO non va cancellata ma ripensata con maggiore serietà riguardo all’innovazione e maggiore rigore verso le procedure, come ad esempio la sicurezza.
Preside, dopo la Spagna siete la prima scuola in Italia che ha aderito all’Apprendistato Duale in collaborazione con la Camera di Commercio di Hannover, può spiegarci di cosa si tratta?
Si tratta di un nuovo progetto lanciato quest’anno che prevede la formazione degli studenti, che aderiscono all’iniziativa, già dal quarto anno. I ragazzi imparano il tedesco raggiungendo un livello A2 o B1e partecipano così all’Erasmus. I migliori studenti, una volta finita la scuola, lavoreranno in aziende tedesche. Non sarà uno stage, si tratta di lavori contrattualizzati secondo quella che è stata la sperimentazione già avviata in Spagna, in Italia invece siamo appunto i primi.
Ci sono nel cassetto altri progetti interessanti come questo?
Abbiamo inaugurato lo scorso anno sul Liceo due curvature, una dedicata a Data Science e AI, l’altra alla sostenibilità ambientale e alle biotecnologie, che hanno qui una forte tradizione. Queste azioni sono andate a Sistema grazie all’impegno del Collegio, dei Dipartimenti e dei Consigli di Classe che hanno scommesso sull’innovazione non di facciata ma nel cambio di mentalità: priorità alle relazioni, didattica interdisciplinare, revisione dei tradizionali schemi di valutazione, impegno nella formazione professionale. Queste esperienze, supportate dalla sperimentazione del Liceo Quadriennale, consentono oggi di leggere le indicazioni dei DM 65 e 66 come reali opportunità di crescita e di accompagnare il processo di innovazione STEM dei Curricula delle nostre Scuole interpretando al meglio il mindset proposto dal DM 184.
Nella sua scuola c’è anche il Liceo scientifico ad indirizzo sportivo, che differenza c’è con quello tradizionale e che tipo di formazione può dare?
Non possiamo nascondere che il Liceo Scientifico ad indirizzo Sportivo rappresenti a tutt’oggi una grande sfida, che vede nel dialogo tra Scuola, Uffici scolastici, CONI e Società Sportive, la chiave del suo successo o, al contrario, la natura dei suoi problemi. Il nostro impegno è nella scelta dei docenti motivati, capaci di sostenere gli studenti/ atleti con percorsi didattici idonei “dentro e fuori l’aula”, con percorsi on-line e con una flessibilità didattica che accompagni la formazione dei ragazzi e delle ragazze nei tempi articolati e spesso compressi dovuti agli impegni sportivi.
Tecnologia, lavoro, studio, luogo dove trascorrere tempo al di fuori dell’orario scolastico, digitalizzazione: tutto questo in un solo Istituto, punta di diamante di una regione avanzata come la Toscana. Le sembra duplicabile questo modello di scuola in aree diverse del nostro Paese?
Noi crediamo fortemente in una innovazione possibile, cioè in esperienze che possano essere replicate e modellizzate a vantaggio di tutta la Scuola. Non crediamo invece, per fare una metafora, nel modello di Scuola “all you can eat”, dove un uso ingiustificato e massiccio di tecnologie e l’attivazione di metodologie didattiche senza la necessaria consapevolezza pedagogica, rischia di produrre modelli che magari procurano visibilità ma scarsa propensione ad un futuro sostenibile. Ci troviamo meglio, per continuare l’esempio, in una dimensione di Scuola Slow food, dove una certa lentezza si accompagna al pensiero e alla formazione olistica profonda di tutti i nostri ragazzi.
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