La siccità più grave di sempre: così l’Italia perde acqua. «È calata del 20 per cento».

La siccità più grave di sempre: così l’Italia perde acqua. «È calata del 20 per cento».

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di Giulio Sensi

Il secolo nero dell’«oro blu». L’allarme di Ispra. «Agire sulle cause dei cambiamenti climatici e migliorare le reti»

L’Italia fronteggia una delle più gravi siccità della sua storia: da mesi piove pochissimo e la mancanza di acqua disponibile mette a rischio agricoltura e attività economiche, i suoli si degradano, le falde si abbassano e la possibilità che i sistemi di approvvigionamento locali per usi civili vadano in crisi è reale. Le regioni chiedono lo stato di emergenza, ma la crisi non è isolata, è ormai generalizzata. «Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti – spiega Stefano Mariani dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale -, è il momento di fermarci a riflettere soprattutto sulle cause che stanno portando a questa situazione». Mariani lavora al Dipartimento per il monitoraggio e la tutela dell’ambiente e per la conservazione della biodiversità e da anni segue e studia i temi relativi alla risorsa idrica.

«Per capire ciò che stiamo vivendo – spiega – dobbiamo alzare lo sguardo. Nell’ultimo trentennio climatologico la disponibilità di risorsa idrica si è ridotta ed è un trend che peggiorerà se non verranno messe in campo azioni incisive di mitigazione». In un secolo la disponibilità di acqua in Italia è diminuita di circa il 20%: se dal 1921 al 1950 era di 166,1 miliardi di metri cubi annui, dal 1991 al 2020 è stata in media di 134,5 miliardi di metri cubi.

Trend crescente

«Significa – aggiunge Mariani – una riduzione media annua consistente e progressiva e contestualmente un trend crescente della percentuale di territorio soggetto a siccità estrema. La madre di tutte le cause è il cambiamento climatico. Le elevate temperature di queste settimane aggravano la situazione perché fanno aumentare l’evapotraspirazione. Dobbiamo considerare che non tutte le precipitazioni atmosferiche si trasformano in acqua disponibile: già la metà di esse evaporano e più è alta la temperatura più ciò accade. Un fenomeno che riguarda anche le precipitazioni solide: nevica meno e quel poco di neve si fonde troppo velocemente e non è più disponibile nei mesi caldi». Non una crisi temporanea, ma una tendenza che verrà invertita solo agendo sulle cause dei cambiamenti climatici. «

Le nostre proiezioni non sono incoraggianti – aggiunge Mariani -. Se non si attueranno efficaci politiche di riduzione delle emissioni di gas serra, la situazione peggiorerà costantemente. Al livello attuale di emissioni di CO2 nell’atmosfera, nel 2100 ci potrebbe essere anche una riduzione del 40% della disponibilità idrica nazionale. È una media, quindi significa che al Sud si potrebbe arrivare anche al 90%». Fra i principali effetti della siccità c’è la degradazione dei suoli che potrebbe condurre, permanendo una tale situazione, a condizioni di aridità e, a lungo termine, alla desertificazione.

«La parola chiave è interconnessione – spiega Anna Luise che all’Ispra è responsabile della Struttura di missione per la definizione delle tematiche globali nell’ambito dell’agenda 2030 -. Cambiamenti climatici, siccità, degrado dei suoli e desertificazione sono fenomeni strettamente legati. Ciò che è successo sul ghiacciaio della Marmolada un mese fa è l’esempio che i sistemi della terra stanno andando in crisi. La siccità danneggia i suoli e distrugge la biodiversità, ma anche la loro capacità di assorbire anidride carbonica. Abbiamo calcolato che un quarto del territorio italiano mostra segni di degrado del suolo e in quelli agricoli sono presenti i segni più forti. Il sud è più esposto perché soggetto a minori precipitazioni, ma i suoli degradati si trovano ovunque con esempi di particolare gravità nel sud del Piemonte, Veneto e pianura padana dove l’impatto dell’agricoltura intensiva è più forte. La Ue sta lavorando su questi temi e ha presentato già una strategia al 2030. L’obiettivo è avere una legge comunitaria sulla salute del suolo».

Le azioni sono urgenti e il primo passaggio è quello di ridurre gli sprechi. «Ognuno può fare la sua parte – afferma Ivan Manzo che per Asvis, l’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, segue i temi idrici -, ma sono necessari anche interventi strutturali. Il 42% dell’acqua immessa nelle reti idriche va ancora dispersa e non arriva nelle nostre case, una media che al sud tocca quasi il 50%». Asvis ha avanzato alcune proposte per invertire la rotta: rendere più efficienti i sistemi di irrigazione agricola, disinquinare i processi produttivi industriali, monitorare l’effettivo uso dei fondi stanziati dal Pnrr, migliorare le reti idriche, intervenire sulle politiche agricole con la riduzione dell’uso dei pesticidi, sviluppare campagne di sensibilizzazione sull’uso efficiente e la fiducia nell’acqua da parte dei consumatori. «Ma per garantire il buono stato dei nostri ecosistemi, servono anche misure di fiscalità ecologica – conclude Manzo -. Ancora oggi sono presenti in Italia dentro al bilancio statale dei sussidi definiti ambientalmente dannosi. La stima del ministero della transizione ecologica è di 21,6 miliardi, soldi che ogni anno finanziano attività insostenibili. È un controsenso, incoerente rispetto agli obiettivi internazionali del nostro Paese».

24 agosto 2022 (modifica il 24 agosto 2022 | 05:34)

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, 2022-08-24 03:38:00, Il secolo nero dell’«oro blu». L’allarme di Ispra. «Agire sulle cause dei cambiamenti climatici e migliorare le reti», Giulio Sensi

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