Leggere “La valutazione che educa” di Cristiano Corsini, ordinario di Pedagogia Sperimentale all’Università degli studi Roma Tre, edito da Franco Angeli, è un’esperienza che chiunque ami la scuola deve fare al più presto.
Il volume, che ha il pregio di essere scritto e pensato con un taglio divulgativo, comprensibile e immediato, è una sorta di viaggio nel mondo della valutazione e ha il pregevole merito di togliere alibi e smascherare false credenze (come il fatto che non si possa valutare senza voti), oltre a fornire informazioni puntuali e strategiche per i docenti.
Leggendo il testo ci accorgiamo che il terreno sul quale siamo abituati a camminare non è così solido come pensavamo. Come accade quando ti arrampichi sui sentieri di montagna e sai che devi guardare un po’ la strada, che può essere stretta ed impervia in alcuni punti, ma anche non perdere di vista il panorama, con la bellezza che sa infondere.
Questo alternarsi di stupore e attenzione ai dettagli lo troviamo in tutto il libro di Corsini. Lo stupore ti colpisce quando leggi (a pagina 12) che la valutazione è una “faccenda politica” (proprio come sostengono tra gli altri Paulo Freire e Don Milani), con i rischi e le responsabilità che questo comporta, o la riflessione, che torna spesso nel libro, che si insegna per asservire o per liberare e si valuta per riprodurre o per trasformare (p. 28); o, ancora, quando l’autore provocatoriamente ti chiede se sei pronto ad abbandonare l’idea che la valutazione sia un fine, perché viene alla fine, per farla diventare un mezzo, perché sta in mezzo a un processo didattico più ampio e complesso.
Come accade nelle passeggiate in montagna, davanti a tanta bellezza è utile fermarsi per godere del panorama, ammirandolo, e, al tempo stesso, riflettere. Nel farlo penso anche alle parti strette e ripide di questo percorso letterario che sto affrontando. Fuor di metafora queste parti coincidono con quegli argomenti spinosi e scivolosi, che di solito si fa fatica a comprendere, ma anche qui l’autore riesce con una narrazione semplice e diretta a rendere tangibile il pensiero astratto e concrete le riflessioni più alte. Quando si entra in aspetti più tecnici, penso ad esempio al paragrafo degli “Inciampi valutativi” (nei sentieri impervi si rischia di inciampare), il lettore viene guidato pazientemente nei dettagli del pensiero e della riflessione pedagogica più elevata, senza perdere mai di vista però la realtà scolastica nella sua dimensione concreta. Lo stesso vale per le riflessioni relative alle prove standardizzate (PISA, PIRLS o INVALSI), che da sempre sono argomenti divisivi che tanto fanno penare i docenti e che in questo caso sono trattate con rigore scientifico e ampia documentazione bibliografica.
Tra una riflessione e l’altra si trovano citazioni seminascoste di Fabrizio de André, del maestro Manzi, di Don Milani, ma queste non ve le citiamo, vediamo se sarete in grado di individuarle senza ulteriori aiuti.
I tre capitoli del libro si aprono tutti con domande, esplicite o implicite, e sono un po’ la bussola, tanto per rimanere in tema, che ci orienta nel cammino. Perché valutare? A quali condizioni la valutazione educa? Come e cosa valutare?
Queste, di fatto, sono domande generatrici e complesse, che migliaia di docenti quotidianamente si pongono e che richiedono risposte ancorate a studi scientifici ed escano dal personalismo del “a scuola mia si fa così”. Dulcis in fundo, ma questo davvero non te l’aspetti, al termine del libro il lettore è invitato a compilare, udite udite, un test finale di valutazione degli apprendimenti, provare per credere!
Abbiamo ricevuto in anteprima il libro “La valutazione che educa” ed abbiamo dedicato un intero giorno a leggerlo e, in molti casi, a rileggerlo. La scuola italiana ha bisogno di uno strumento chiaro ed immediato che, come un buon bastone quando si sale la montagna, possa sostenerti, liberarti dalle sterpaglie e, se necessario, aiutare a difenderti. Se decidere di salire o meno spetta a noi, ai docenti, agli educatori e ai genitori che, coraggiosamente, scelgono di rischiare e mettersi in cammino in salita, pur di vedere qualcosa di bello per cui valga la pena muoversi.
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