di Andrea Marinelli e Guido Olimpio
Stati Uniti e alleati finora hanno resistito. Assedi, bombardamenti e civili uccisi potrebbero però far cambiare idea: in questo conflitto, le decisioni sono state spesso determinate dal campo. Secondo Kiev, ora Putin punta a uno «scenario coreano»
Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky insiste: dateci tank e caccia. Gli Stati Uniti, insieme ai partner, finora hanno resistito. Il premier britannico Johnson lo ha ribadito due giorni fa: farlo è molto complesso. Ma fino a quando lo sarà? L’invio di questo tipo di armi è ritenuto indispensabile dagli ucraini per difendere le proprie posizioni, rimpiazzare le perdite subite — non poche — e tentare di guadagnare posizioni. I soli missili anti-carro, i Javelin, e quelli portatili anti-aerei, gli Stinger, al massimo permettono un «contenimento», ma non sono in grado di imprimere una svolta. Il pericolo — già evidente — è di una crisi che si trascina mentre la grande resistenza comporta un sacrificio enorme.
Ora ad aiutare la richiesta di Kiev potrebbe esserci un fattore evidente, tragico, innegabile. Il massacro di Mariupol, le distruzioni in altre città, i continui bombardamenti — sabato sono stati 70, un record, estesi anche a Leopoli, nell’ovest, centro strategico per rifornimenti e aiuti umanitari: solo 8 sono stati abbattuti dalla difesa ucraina — sono intollerabili perché coinvolgono sempre di più i civili. Proprio questa strategia deliberata di Putin può indurre Biden e gli altri leader occidentali a considerare forniture fino ad oggi negate. Questa mossa, è chiaro, avrebbe tuttavia un peso politico rilevante e dovrebbe mettere in conto la reazione del Cremlino, che ha già lanciato minacce dure di intervento contro questa ipotesi.
Nel fine settimana, però, il ministro della Difesa ucraino Dmytro Kuleba avrebbe dichiarato — secondo l’Afp — che gli Stati Uniti non si oppongono più alla consegna di caccia Mig all’Ucraina da parte della Polonia: «Ora la palla è nel campo di Varsavia». Passaggio che, se confermato, rappresenterebbe un’evoluzione significativa. In questo conflitto, infatti, abbiamo visto come sia stato proprio il campo a determinare alcune decisioni, soprattutto sul fronte delle forniture belliche. Per mobilitarsi in modo massiccio l’Occidente ha aspettato l’assalto dell’Armata, inviando poi decine di migliaia di pezzi anti-carro e anti-aerei: la tenuta degli ucraini li ha convinti che non era un’assistenza tardiva.
Come è stato detto, l’intelligence Usa, pur capace di prevedere l’assalto, era convinta che i soldati di Zelensky sarebbero stati travolti e lo aveva anche comunicato alla leadership politica di Washington. Invece l’operazione speciale si è tramutata in una lotta d’attrito, almeno per ora. Ecco quindi che la resistenza, insieme a qualche successo, potrebbe convincere la Casa Bianca a rivedere l’agenda dando luce verde per materiale importante, qualcosa che permetta agli aggrediti di rendere la vita ancora più ardua all’aggressore. Il fattore tempo è, per molti, decisivo: c’è chi lo considera un punto a favore della Russia (rischia solo soldati, gli ucraini molto di più) e chi invece ritiene che il pantano alla lunga dia ragione alla caparbietà dell’Ucraina.
Molto dipenderà, tuttavia, da vittorie e sconfitte sul terreno. Secondo il capo dell’intelligence di Kiev, il generale Kyrylo Budanov, il nuovo obiettivo di Putin sarebbe ora lo «scenario coreano», dividere cioè l’Ucraina in due — i territori occupati e quelli non occupati — e poi indire un referendum: questo era d’altronde uno degli scenari previsti all’inizio, ed è tornato d’attualità dopo una dichiarazione del leader dell’autoproclamata repubblica filorussa di Lugansk. «Penso che nel futuro prossimo ci sarà un referendum nel territorio della repubblica, con il quale il popolo esprimerà la propria opinione sull’unirsi alla Federazione russa», ha detto il leader di Lugansk, Leonid Pasechnik.
Tornando al tema centrale, non c’è dubbio che Kiev abbia bisogno di tanto: cannoni a lunga gittata, radar che permettano di scoprire artiglierie, carri armati, missili terra-terra, velivoli da combattimento, droni d’attacco (in numero maggiore rispetto ai Bayraktar Tb2 già ottenuti dalla Turchia), apparati per contrastare caccia a quote alte e medie. Qualcosa è stato promesso, come i sistemi anti-aerei Sa-8 e i S-300 di progettazione sovietica, per utilizzare i quali gli ucraini non hanno bisogno di un lungo addestramento, altro sarebbe arrivato in modo non dichiarato — così dicono alcune fonti — ma il «grosso» è ancora da decidere.
Secondo i tecnici, ci possono essere proprio problemi di training e di preferenze, essendo mezzi che richiedono conoscenza, preparazione e, ovviamente, disponibilità. Negli arsenali di alcuni Paesi confinanti ci sono armi compatibili con quelle ucraine, ma — come ha ricordato questa crisi — non tutto procede come stabilito a tavolino. Il punto di fondo resta sempre quello dell’eventuale rappresaglia dello Zar: l’ampliamento dello scudo ucraino da parte dell’Occidente potrebbe essere interpretato da Putin come un atto ostile diretto.
27 marzo 2022 (modifica il 27 marzo 2022 | 19:43)
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