L’agonia del nostro grande fiume Po. Ma faremo qualcosa per salvarlo?

L’agonia del nostro grande fiume Po. Ma faremo qualcosa per salvarlo?

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di Gian Antonio Stella

La crisi idrica attuale non sarà passeggera. In Italia, in un secolo, la disponibilità d’acqua è calata del 19% e le previsioni non sono buone. Dagli Usa alla Cina, il problema riguarda tutti

«Quanti sacrifici siamo disposti a fare per salvare il Grande Lago Salato?». Lo chiede sul New York Times, nella scia di una inquietante inchiesta pubblicata dalla stesso giornale («Una storia che mi vergogno a ammettere era sfuggita al mio radar personale») il Nobel Paul Krugman, che batte e ribatte sul tema che più gli preme: se siamo già sull’orlo del precipizio, come mai l’umanità non si è ancora decisa a reagire subito e in modo serio per contenere il disastro?

È una domanda buona anche per noi: quanti sacrifici siamo disposti a fare per salvare il Po? Bastano le foto sulle prime pagine per capirne l’agonia. Mai vista una secca così dal ‘52. Cioè l’anno dopo l’alluvione del novembre ‘51, quando la piena del fiume, da secoli regolata dal Taglio voluto da Venezia nel 1600 e costruito con «il favor del Signor Dio», aveva travolto tutto allargandosi in «ampiezza catastrofica su una superficie più grande del lago di Ginevra». Non ci voleva, quel secco, per i polesani che già avevano preso la strada di Torino, come volessero restare legati al fiume…

I dati diffusi in questi giorni, a partire da quelli di Meuccio Berselli, segretario dell’Autorità di Bacino, sono noti. Crisi idrica in oltre 125 comuni, viavai di autobotti in Piemonte e Lombardia, una portata d’acqua precipitata da 450 metri cubi al secondo a poco più di 300, il «cuneo salino» che con la marea porta l’acqua del mare a «entrare» sempre di più nel fiume, i crollo del 40% del Pil dell’agricoltura e del 55% della produzione energetica in arrivo, i pescatori in crisi anche per la parallela aggressività del voracissimo granchio blu arrivato dalle Americhe, la paura d’un caldo eccessivo e una conseguente invasione di macro alghe che potrebbero asfissiare le vongole…

Passerà la nottata? Il rischio è che molti s’illudano che questa secca possa esser passeggera. E destinata a essere cacciata via, prima o poi, dal ritorno delle precipitazioni assenti da oltre quattro mesi(meno 42% di piogge attese) col risultato che su Regioni come il Piemonte, come ricorda Luca Mercalli, da dicembre a maggio «sono caduti solo 94 mm di pioggia contro un valore normale di 376 mm». Magari, piovesse! In realtà, spiega Stefano Mariani dell’Ispra, la situazione va peggiorando da tempo. Tra il trentennio 1920-1950 e il trentennio in cui viviamo, ad esempio, la siccità estrema è cresciuta al punto che l’acqua a disposizione in Italia è calata del 19%. E rischia di andare peggio nel futuro. Tanto che nell’ipotesi più pessimistica degli scienziati l’afflusso di acqua potrebbe ridursi nel 2100 del 90%. Un incubo. Tanto più in un Paese come il nostro che, benedetto come pochi dalla abbondanza, spreca per l’uso civile 5,2 miliardi di metri cubi su 9 (!) perché non è in grado di gestire tanto ben di Dio. Che in tempi non lontani potrebbe scarseggiare. Basti citare uno dei numeri d’oggi dell’Autorità di Bacino del Po: la portata attuale a Pontelagoscuro è sotto del 90%. Brividi.

E guai a parlare d’una sorpresa. «L’acqua pur essendo strettamente dipendente dalle infrastrutture idriche, è da troppo tempo ai margini dei nostri investimenti pubblici», denuncia Mario Tozzi nella prefazione all’inquietante libro Acque d’Italia, di Erasmo D’Angelis. Una denuncia sacrosanta di demagoghi, furbetti, approfittatori «come se l’acqua fosse un bene da gestire senza costi e con una bacchetta magica si potessero risolvere i problemi». E torniamo al tema: poiché è obbligatorio cambiare tutto assumendo ciascuno una parte di responsabilità, quali sacrifici siamo disposti a fare: subito?» Vale per noi, vale per l’America, vale per tutti…

Il tempo non è poco, striglia Krugman: è pochissimo. La scorsa estate, come spiega il New York Times, «il livello dell’acqua nel Great Salt Lake ha raggiunto il punto più basso mai registrato ed è probabile che quest’anno diminuirà ulteriormente». La superficie del lago che a fine anni 80 copriva secondo l’US Geological Survey circa 5310 km² (14 volte il lago di Garda), si è ridotta a meno di 1609: meno di tre volte il Garda) e il degrado potrebbe accentuarsi con conseguenze devastanti per i depositi di arsenico, antimonio, rame, zirconio… Ci mette tempi infiniti, la natura, a disegnare fiumi e laghi. Bastano poche generazioni a distruggere tutto. Si pensi al lago Owen, ai margini della California, dove Los Angeles, un secolo fa, andò a prendersi l’acqua necessaria al suo sviluppo. Copriva più di 100 miglia quadrate: è morto. E i suoi veleni ammazzano gli abitanti di oggi.

Sono troppi i laghi morti o moribondi. L’enorme Aral russo, grande metà Adriatico ma prosciugato e ucciso dall’avventura industriale sovietica mentre i pescherecci («Pescavo due tonnellate al giorno», raccontò Kalyeg Abzamy a Maurizio Chierici) erano inghiottiti dalla sabbia. Il Lago Koroneia, vicino a Salonicco, che era largo quasi come quello di Lugano ma oggi si può attraversare a piedi. Il lago Ciad, sulle cui rive vivono in conflitto permanente 22 milioni di persone del Ciad, del Camerun, della Nigeria e del Niger: era il quarto grande bacino di acqua dolce dell’Africa dopo i laghi Vittoria, Tanganica, Niassa… Si è ristretto, rispetto agli spazi immensi di tempi lontani (400mila km²: più del Mar Caspio), a una pozzanghera contesa: 1350 km². Il triplo della laguna di Venezia.

Per non dire dei disastri dovuti alla vertiginosa Grande Marcia verso l’industrializzazione in Cina. Basti citare la scomparsa, denunciata dal Times, di 28.000 corsi d’acqua spariti dalle mappe del Gigante asiatico. Dove nello stesso periodo, diciamo da una quarantina d’anni in qua, risultano spariti o quasi anche, secondo l’Istituto di geografia e limnologia di Nanchino, 243 laghi. Tra i quali il Poyang, il più vasto lago d’acqua dolce cinese, ridotto di oltre il 90%: da oltre 3000 km² a meno di 200.

Disastri dovuti all’incuria, alla superficialità, al disinteresse nei confronti di temi ambientali che oggi papa Francesco denuncia quotidianamente . Disastri che, all’ultimo istante, potrebbero comunque essere contenuti: «Quello che sta succedendo al Great Salt Lake è piuttosto brutto. Ma ciò che ho trovato davvero spaventoso è ciò che il rapporto dice sulla mancanza di una risposta efficace alla crisi del lago e sulla nostra capacità di rispondere alla minaccia più ampia, anzi esistenziale, del cambiamento climatico». E citando un altissimo banchiere che un mese fa disse in un discorso ufficiale «Chi se ne frega se Miami tra 100 anni sarà sott’acqua a sei metri?», ha insistito: «Coloro che sono o dovrebbero essere consapevoli di questa minaccia, ma ostacolano l’azione per il bene di profitti a breve termine o di opportunità politica, stanno, in un certo senso, tradendo l’umanità».

Certo, ammette, «il cambiamento climatico globale ha contribuito a ridurre il manto nevoso, motivo per cui il Great Salt Lake si è ridotto. M a gran parte del problema è il consumo di acqua locale; se quel consumo potesse essere frenato, lo Utah non doveva preoccuparsi che i suoi sforzi sarebbero stati vanificati dai cinesi o altro. Una regione minacciata dovrebbe accettare sacrifici modesti, alcuni poco più che inconvenienti, per evitare un disastro dietro l’angolo. Ma ciò non sembra succedere. E se non possiamo salvare il Great Salt Lake, che possibilità abbiamo di salvare il pianeta?».

Insomma, ognuno faccia la sua parte. A cominciare da chi fa le leggi. E deve imporre una svolta. Tanto più che, angosciati come siamo dalla guerra in Ucraina, dobbiamo ricordarci che le crisi idriche, si legge negli ultimi rapporti Onu sul World Water Development, hanno portato alla drammatica moltiplicazione delle guerre per l’acqua, salite recentemente a 263. Non bastasse, aggiunge Erasmo d’Angelis, «uno studio della Banca Mondiale avverte che si metteranno in moto entro il 2050 almeno 143 milioni di migranti climatici, come conseguenza di siccità e mancanza d’acqua, fame, carestie, epidemie, inaridimento di aree agricole».

16 giugno 2022 (modifica il 16 giugno 2022 | 23:23)

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, 2022-06-16 21:52:00, La crisi idrica attuale non sarà passeggera. In Italia, in un secolo, la disponibilità d’acqua è calata del 19% e le previsioni non sono buone. Dagli Usa alla Cina, il problema riguarda tutti, Gian Antonio Stella

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