di Federico Fubini
Un esame incrociato dei dati degli scambi verso la Russia suggerisce che su questa rotta hanno luogo triangolazioni massicce volte ad aggirare le sanzioni
Sono venti i Paesi attraverso i quali la Russia riesce ad aggirare le sanzioni imposte dai governi democratici dall’inizio della guerra . Fra questi la Turchia, la Cina e gli Emirati Arabi Uniti, oltre a varie repubbliche ex sovietiche che dall’inizio sono state al centro dei sospetti: la lista include Kazakistan, Kirghizistan, Armenia e persino la Georgia, dove la Russia ha sferrato un’aggressione militare nel 2008 e, all’inizio del conflitto in febbraio, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a sostegno dell’Ucraina.
Si tratta di una realtà che molte imprese italiane probabilmente conoscono già: un’occhiata ai flussi commerciali rivela indizi evidenti che, nel giro di pochi mesi, soprattutto la Turchia è progressivamente diventata una piattaforma attraverso la quale numerosi esportatori del «made in Italy» continuano a rifornire la Russia su larghissima scala, anche quando la pratica sarebbe illegale.
Ma andiamo con ordine. I casi internazionali di aggiramento delle sanzioni attraverso quei venti Paesi sarebbero centinaia. Saranno al centro di un rapporto in uscita tra non molto da parte del gruppo di esperti guidato dall’ex ambasciatore americano a Mosca Michael McFaul e da Andriy Yermak, il capo dell’ufficio politico del presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Osservatori informati prevedono che il gruppo Yermak-McFaul suggerirà ai governi occidentali di chiudere le falle, minacciando sanzioni «secondarie» sui Paesi che aiutano la Russia attraverso una rete di triangolazioni commerciali.
Non sarà semplice, viste le dimensioni sistemiche di alcune delle nazioni coinvolte. Di certo un esame incrociato dei dati degli scambi dall’Italia alla Turchia e dalla Turchia verso la Russia suggerisce che su questa rotta hanno luogo triangolazioni massicce volte ad aggirare le sanzioni. Difficile spiegare altrimenti le vistose stranezze degli ultimi mesi. In primo luogo, la Turchia è il Paese verso il quale a giugno scorso l’Italia registra di gran lunga il maggiore aumento dell’export: più 87% su base annuale, fino a 1,4 miliardi di euro di vendite in un solo mese; si tratta di un aumento di 500 milioni al mese rispetto a febbraio e di un caso unico in oltre dieci anni di vendite alla Turchia rimaste sempre nettamente sotto al miliardo al mese (secondo l’ufficio statistico Istat). Tanto più sorprendente è questo boom perché nell’ultimo anno la lira turca ha quasi dimezzato il proprio valore sull’euro, rendendo l’import dall’Italia molto più costoso per le imprese locali.
Ma la spiegazione è probabilmente nei dati sull’export di Turkstat, l’ufficio statistico di Ankara. Fra febbraio e giugno di quest’anno l’export turco verso la Russia è esploso, con una crescita di circa 400 milioni di dollari al mese. Fra gli oltre venti principali partner commerciali della Turchia, la Russia è la destinazione cresciuta di più sia dall’inizio della guerra (più 68% di vendite turche) che nell’ultimo anno (più 46%). Persino altri Paesi che rifiutano le sanzioni contro Mosca come la Cina, il Vietnam o la Malesia ora esportano meno verso un’economia russa in profonda recessione. Invece i flussi di beni e servizi dalla Turchia alla Russia non sono mai stati così forti, così come non sono mai stati così forti i flussi dall’Italia alla Turchia stessa. Anche le dimensioni dell’aumento negli scambi sono simili, fra 300 e 400 milioni di dollari al mese in più.
Si tratta di indizi, non di prove. Ma se davvero le imprese italiane stanno usando la Turchia come piattaforma per aggirare le sanzioni e aprirsi illegalmente il mercato russo, la questione sarà impossibile da ignorare per l’attuale governo di Roma. E anche per il prossimo.
31 luglio 2022 (modifica il 31 luglio 2022 | 15:30)
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, 2022-07-31 13:30:00, Un esame incrociato dei dati degli scambi verso la Russia suggerisce che su questa rotta hanno luogo triangolazioni massicce volte ad aggirare le sanzioni, Federico Fubini