di Gian Guido VecchiIl teologo: «No a un pacifismo ingenuo. Il pericolo di escalation è drammatico. Ma non dimentichiamo la resistenza al nazifascismo, della quale hanno fatto parte anche cattolici di primo piano» CITTÀ DEL VATICANO «Il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, l’arcivescovo maggiore di Kiev Sviatoslav Shevchuk, in un collegamento web raccontava di quando è stato a pregare sulle fosse comuni, a Bucha, e ha visto i corpi lividi di poveri civili innocenti, le mani legate, i segni evidenti dell’ingiustizia, della crudeltà e della violenza. Era lì, piangeva insieme a ortodossi, ebrei, musulmani, tutti piangevano e si è detto: potevo esserci anch’io, non posso fare finta di niente. Devo stare accanto al più debole e rifiutare la logica violenta dell’aggressore». L’arcivescovo Bruno Forte sta partecipando alla plenaria del pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, in Vaticano, venerdì mattina saranno ricevuti da Papa Francesco. Sospira: «È questo ragionamento che spinge l’Ucraina alla resistenza». Come vede la situazione, eccellenza? «Anzitutto, siamo di fronte ad una tragedia umanitaria che ha provocato innumerevoli vittime e profughi, provocata dall’invasione della Russia di Putin a un Paese che ha diritto alla sua democrazia e alla sua libertà. Certo la reazione dell’Ucraina è stata sorprendente, per lo stesso Putin. Ma il giudizio morale è chiarissimo e si esprime nella condanna ferma di questa aggressione cui si sono unite gran parte delle nazioni del mondo e le chiese cristiane, comprese molte chiese ortodosse. Dopo le tragedie delle due guerre mondiali si pensava che tutto questo non potesse più accadere in Europa. E invece ci troviamo davanti a uno scenario già vissuto, un’aggressione simile a quella di Hitler alla Polonia». Quindi che si può fare? «Qui si pone un grande problema, duplice. Da un punto di vista morale, come dice Papa Francesco, la corsa agli armamenti è follia e la guerra un male assoluto. Dall’altra gli ucraini rivendicano il diritto alla legittima difesa, un principio riconosciuto dalla morale cattolica. Puntare solo sulle armi non può essere la soluzione. Però non si può negare agli ucraini il diritto alla legittima difesa». Qual è il limite? «La difesa è legittima se proporzionata e punta a non provocare danni maggiori di quelli che si avrebbero non resistendo». Non c’è un rischio di escalation del conflitto? «Non c’è dubbio che ci sia, è un pericolo purtroppo drammatico. Ma dire che per questo gli ucraini avrebbero dovuto cedere di fronte all’invasore non mi sembra accettabile. Gli ucraini stanno vivendo una situazione analoga a chi ha difeso nella storia il proprio diritto alla libertà e all’indipendenza. Non dimentichiamo la resistenza al nazifascismo, della quale hanno fatto parte anche cattolici di primo piano». E quindi? «Bisogna cercare la pace, la via diplomatica va sempre perseguita anche se appare complessa. Però sposare un pacifismo ingenuo ha inevitabilmente ricadute drammatiche. Francesco ha ragione quando condanna la produzione e il commercio armi, che sappiamo bene che cosa ha prodotto. Ma è stato chiaro nel distinguere aggressore e aggredito, ha baciato la bandiera ucraina come un segno di vicinanza a un popolo sofferente. E ha detto a Kirill parole che non saranno piaciute al patriarcato di Mosca ma sono vere e arrivano dal cuore di un uomo che sta soffrendo e che prega». Il Papa, al Corriere, ha detto che «il patriarca di Mosca non può essere il chierichetto di Putin». Come si spiega la posizione di Kirill? C’è un problema di legame a doppio filo tra trono e altare, nell’ortodossia? «È molto importate distinguere, nel mondo ortodosso. L’ecumenismo non può essere distrutto dopo anni di dialogo e ricerche. Certo quello che è successo crea difficoltà, le ha create Kirill con le sue scelte. Ma sappiamo che già il rapporto tra i patriarcati di Mosca e Costantinopoli non era facile, molte chiese ortodosse hanno condannato la posizione del patriarca russo, c’è chi ha chiesto che venga processato». Come se ne esce? «Per i credenti, anzitutto, con la preghiera e con la solidarietà e l’accoglienza degli oppressi. La condanna dell’invasore deve unirsi alla comprensione per un popolo che si sta difendendo, perché non si senta abbandonato alla Russia di Putin, che non è tutta la Russia. E poi occorre la diplomazia, sapendo che molto dipenderà dall’esito del conflitto. La Seconda guerra mondiale finì in un bunker dove il principale responsabile del massacro pose fine alla sua vita. La sorprese della storia sono tante, e per chi crede Dio ha sempre una impossibile possibilità». 5 maggio 2022 (modifica il 5 maggio 2022 | 21:41) © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-05-05 19:42:00, Il teologo: «No a un pacifismo ingenuo. Il pericolo di escalation è drammatico. Ma non dimentichiamo la resistenza al nazifascismo, della quale hanno fatto parte anche cattolici di primo piano», Gian Guido Vecchi