Lavoro minorile e dispersione scolastica: un binomio troppo stretto

Lavoro minorile e dispersione scolastica: un binomio troppo stretto

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L’indagine di Save the Children sul lavoro minorile, serve pure a spiegare la percentuale di abbandoni e dispersioni dalla scuola nel nostro paese.

Secondo le stime, 336 mila minorenni tra i 7 e i 15 anni hanno avuto esperienze di lavoro, continuative, saltuarie o occasionali: quasi 1 minore su 15. Tra i 14-15enni il 27,8% ha svolto lavori particolarmente dannosi per i percorsi educativi e per il benessere psicofisico.

Segue nel rapporto l’analisi della tipologia dei posti di lavoro occupati dai minori, mentre non sfugge che sono soprattutto i maschi a intraprendere percorsi di lavoro. 

Interessante anche l’altro dato: il livello di istruzione dei genitori. Infatti il livello di istruzione in particolare della madre è significativamente associato al lavoro minorile. La percentuale di genitori senza alcun titolo di studio o con la licenza elementare o media è significativamente più alta tra gli adolescenti che hanno avuto esperienze di lavoro.

Ebbene, se queste percentuali si associano ai tassi di abbandoni e di dispersione ci si accorge che per lo più essi coincidono.

Infatti, prendendo sempre da Save the Children le percentuali, veniamo a sapere che, dato nazionale,  “il 12,7% dei minori non arriva neanche al diploma delle superiori, perché abbandona precocemente gli studi”. 

In Italia, rispetto all’Europa, la dispersione scolastica resta tra le più elevate in assoluto dopo quella della Romania (15,3%) e della Spagna (13,3%), ed è ben lontana dall’obiettivo del 9% entro il 2030 stabilito dalla UE. Il numero dei NEET nel nostro Paese, i 15-29enni che si trovano in un limbo fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione, raggiunge il 23,1% ed è addirittura il più alto rispetto ai paesi UE (media 13,1%), segnando quasi 10 punti in più rispetto a Spagna (14,1%) e Polonia (13,4%), e più del doppio se si considerano Germania e Francia (9,2%).

E ancora. L’abbandono scolastico nella maggior parte delle regioni del sud va ben oltre la media nazionale (12,7%), con le punte di Sicilia (21,1%) e Puglia (17,6%), e valori decisamente più alti rispetto a Centro e Nord anche in Campania (16,4%) e Calabria (14%). 

Non c’è dunque dubbio che se si vuole sconfiggere l’abbandono scolastico, si deve prima di tutto affrontare la questione sociale e del lavoro.

La presenza del tutor per dirottare gli abbandoni e del docente orientatore, seppure ispirati da buone intenzioni, sembrano più un palliativo che una precisa volontà politica di sconfiggere questo fenomeno particolarmente pesante nel sud Italia.  Le cui cause non sono affatto legate alle carenze o alle mancanze della scuola, sebbene esse esistano e sebbene abbiano una loro importanza decisionale, ma il nocciolo della faccenda sta nella povertà in cui molta parte di quella popolazione è costretta a vivere. 

Ecco i dati del 2022 di Save the Children sulla povertà assoluta in Italia: la povertà assoluta riguardava  nel 2021 1 milione e 382mila minori nel nostro Paese, il 14,2%, in crescita rispetto al 2020 (13,5%).

E una nazione con tassi così spaventosi di povertà assoluta non potrà mai contare su tassi di abbandoni scolastici mediamente accettabili 

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