Sono dell’idea che la chiarezza sia sempre positiva; e al MIM c’è un Ministro che, per chi vuole intendere, quanto a chiarezza non è certo difettivo. Ne abbiamo avuto una prova recente e ulteriore: il suo intervento al convegno organizzato dall’Associazione “Sui tetti”, a Milano, non lascia adito a dubbi. L’Associazione “Sui tetti” si autodefinisce “Pubblica agenda sussidiaria e condivisa di ragioni, priorità e proposte”. Un vero programma: siamo a Milano, Comunione e liberazione non è lontana e la “vision” di “Sui tetti” è un capolavoro di temi antropologici di indubbia importanza, richiami al cattolicesimo surrettizi e palesi, rimandi – non così visibili per chi fosse cattivo lettore – ad una concezione integralista e reazionaria della società. Ma, per carità! Sempre in nome dei migliori sentimenti.
L’home page riassume in una immagine tutto questo: vediamo un giovane uomo fotografato di spalle, in giacca formale (e, presumibilmente, cravatta) con le braccia aperte in posa ecumenica, su un tetto che gli consente di abbracciare con uno sguardo la città dall’alto. Quindi: giovane, uomo, ben vestito, ecumenico; e non, per esempio, donna, trasandata e sgomenta di fronte ad un mondo che la respinge. Insomma, una sintesi visiva del mélange ideologico che viene proposto subito dopo ed in cui spiccano alcuni riferimenti concreti, che ci aiutano a capire con chi abbiamo a che fare.
Si inizia con una bella frase: “Per la prima volta nella storia repubblicana, la legislazione e la giurisprudenza sono diventate strumenti costantemente branditi per spingere il popolo verso questa concezione prometeica di uomo/divo, unica misura di tutto, che non riconosce responsabilità e condizionamenti, al punto da legare il valore della propria vita al successo di sé”. E si procede meglio, specificando quali siano gli “strumenti” branditi dalla “legislazione e dalla giurisprudenza” per spingere il popolo bue verso la “concezione prometeica di uomo/divo”.
Ecco l’elenco sommario dei “randelli”: “Nel 2015 la legge 55 ha reso quasi immediata la risoluzione del legame matrimoniale, derubricato a fatto privato; nel 2016, la legge 76 ha costruito modelli familiari senza legami stabili, né responsabilità verso il nucleo, né apertura alla vita; nel 2017, la legge 219 ha trasformato il diritto alla vita in diritto ad una “vita dignitosa”, facendo “scartare” dal SSN quelle non ritenute tali; nel 2018 e 2019, la Consulta ha ordinato al Parlamento di consentire per legge il suicidio medicalmente assistito, nel 2020 il Ministero della Salute ha avviato la “privatizzazione” dell’aborto e la Camera aveva licenziato il DDL Zan, con il tentativo di imporre il soggettivismo e relativismo più esasperati dell’ideologia “gender”; nel 2021-2022 si procede a marce forzate per introdurre l’eutanasia negli ospedali italiani”.
Non manca, naturalmente, un riferimento polemico alla legge 194, la madre di ogni nefandezza legislativa. In pratica, viene messa al bando tutta la legislazione relativa ai diritti civili degli ultimi anni. Non mi risulta, però, che l’esistenza delle norme di cui sopra, citate come esempi di scivolamento verso la barbarie, obblighi qualcuno a divorziare, ad abortire, ad abbracciare un’identità sessuale, a scegliere l’eutanasia. Mi risulta invece che voler imporre il proprio punto di vista di cattolici a tutta intera la società si chiami integralismo.
Intanto, dopo la scuola “delle tre I” abbiamo la scuola “delle due L”, che vengono così esplicitate da Valditara: «”Libertà”, così come è stata descritta dal professor Cesana (n.d.r. “«Il proprio dell’educazione è la libertà. Libertà è fare quel che si vuole, ma che cosa si vuole? Bisogna volere le cose giuste cioè la verità, ciò per cui la vita è fatta»,. Così disse Giancarlo Cesana, medico e presidente onorario dell’Associazione Esserci) e “lavoro” perché se la scuola non dà una prospettiva professionale non assolve al suo compito».
E quindi il senso della scuola sta nel fornire una prospettiva professionale; non possiamo accusare Valditara, se non per il fatto che ripeta un luogo comune che ha segnato l’ultimo trentennio del governo della scuola. È naturale che Valditara si preoccupi soprattutto della scuola paritaria, proseguendo, anche in questo caso, su un cammino aperto paradossalmente dal centro-sinistra. Come la sua premier, anche il Ministro vuole agire “a 360 gradi” ed occuparsi sia della scuola statale sia di quella non statale. “Segnali ne abbiamo dati: abbiamo fatto in modo che i fondi del Pnrr fossero anche per le paritarie ed abbiamo aumentato il fondo a favore di esse”.
E meno male che poco prima Valditara aveva dichiarato che “la scuola italiana è quella del 2 giugno”. Bravo! Siccome la scuola italiana è la scuola della Repubblica, il ministro presenta poi un’altra idea brillante: “Proporremo un emendamento a un prossimo decreto legge, per far sì che i 36 mesi di insegnamento in una scuola non statale siano equivalenti a quelli nella scuola statale”. Ottimo! Altre voci presenti nel convegno hanno ribadito la necessità di abbattere le rette attuando la legge sulla parità scolastica. “Di una “dote scuola” per le famiglie, con i contributi economici di Stato, Regioni e Comuni, ha parlato Peppino Zola, co-fondatore della scuola “La zolla”. «Siamo partiti 50 anni fa con 8 bambini e oggi abbiamo 1.270 studenti», ha ricordato Zola” (Avvenire, 6 giugno 2023).
Insomma, il ministro fa la sua parte in un convegno ultra-cattolico con un solo merito, il titolo. “A cosa serve la scuola?”. È una domanda semplice, che dovremmo porci ogni giorno, come educatori, come cittadini, come studenti. La risposta implica una visione complessiva della società, come ha dimostrato il convegno milanese, che ha affermato un’idea di scuola confessionale decisamente inaccettabile in una società plurale e democratica. A questi signori che si professano difensori della “libertà” e che invocano sovvenzioni alle scuole confessionali in nome della “libertà educativa” bisognerebbe rispondere per le rime usando le parole dei Padri Costituenti.
Sulla “Libertà” valgano le parole icastiche di Pietro Nenni durante la discussione sull’articolo 33: “Saremo saggi se ci ricorderemo che le scuole confessionali […] dividono, mentre la scuola laica unisce, in quanto rispetta tutte le idee e tutte le credenze”. Per contrastare l’emorragia di denaro pubblico verso scuole di fatto private, si possono rievocare le parole di Walter Binni, sempre all’interno dei lavori della Costituente: “Basta pensare, per ricordare l’argomento più umile, che molto spesso i fautori della scuola privata vengono a mettere in dubbio la forza della scuola pubblica, dicendo che la scuola pubblica gode di un piccolo bilancio, e che, quindi, è molto bene, nell’interesse nazionale, che la scuola privata possa integrarla nelle sue deficienze. Ma se la scuola di Stato, che ha già tante difficoltà e ha un così magro bilancio, dovesse spartire questo magro bilancio con le scuole private, decadrebbe anche dalla situazione in cui attualmente si trova […]”.
L’attualità di questi commenti è lampante; se non vogliamo che il “senso della scuola” si riduca ad essere quello di riprodurre e possibilmente riportare indietro gli equilibri sociali, difendiamo la nostra scuola da chi, con troppa colpevole superficialità, parla di “libertà”. Sempre Walter Binni: “Questo punto della libertà d’insegnamento è uno di quei punti e di quei principî in cui la grande parola «libertà» è suscettibile di troppe diverse determinazioni. Può essere qualche volta perfino, come si dice in certi stili, nisi mendacium, non altro che menzogna, può essere un tranello, può essere pericoloso tranello”. Lo stesso valga per quell’altra parola amata da questo Governo: il merito: anch’essa usata, ahimè, nisi mendacium, a mo’ di un tranello, di un pericoloso tranello.
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