Le indagini PISA, in Italia e in Europa hanno aperto un dibattito nuovo sulla scuola, sulle scelte strategiche, sulle metodologie utilizzate ma nessuno ha fatto caso che tali indagini, come dice il prof. Corsini “restituiscono un quadro di sostanziale stabilità rispetto a vent’anni fa”. Ne parliamo con il prof. Cristiano Corsini professore ordinario di Pedagogia sperimentale all’Università Roma Tre, vera pietra miliare della valutazione in campo educativo. Si occupa, in maniera specifica, di indagini nazionali e internazionali sull’efficacia e sull’equità di scuole e sistemi d’istruzione. Progetta e realizza interventi formativi sulla valutazione educativa rivolti a docenti della scuola primaria, della scuola secondaria e dell’università. Ha pubblicato “La valutazione che educa. Liberare insegnamento e apprendimento dalla tirannia del voto” (2023) , “Evaluating educational quality” (2021, con C. Tienken e M. Tomarchio ), “Differenze di genere nell’editoria scolastica. Indagine empirica sui sussidiari dei linguaggi per la scuola primaria” (2016, con Irene Scierri), “Valutare scuole e docenti” (2015), “Il valore aggiunto in educazione” (2009).
Professore Corsini, le indagini PISA irrompono sullo scenario, convulso, del dibattito politico, sempre attivo, intorno alla scuola. E dico “intorno” con consapevolezza. Cosa sono e, principalmente, come dovrebbero essere lette le indagini?
«Sono indagini che offrono indicazioni preziose su alcune abilità rispetto ad ambiti come lettura, matematica, scienze. Non sono prove di competenza, perché per valutare le competenze abbiamo bisogno di prove diverse, situate nel contesto, prolungate nel tempo. Per valutare le competenze sono necessari compiti autentici. Le prove PISA per ovvie ragioni non possono essere autentiche, dato che sarebbero eccessivamente contestualizzate e prenderebbero troppo tempo. Però sono buone prove e simulano situazioni reali. Per affrontare PISA occorre ragionare e usare abilità non banali, ma smettiamola di definire “competenza” quello che misurano».
Dunque, non misurando competenze come andrebbero lette queste indagini?
«Vanno lette ragionando su quello che dicono e su quello che non dicono. Posto che non sono in grado di misurare competenze, dobbiamo ricordare che offrono molte indicazioni preziose, per esempio sull’equità del nostro paese. Perché ragionare sulla distribuzione delle abilità testate nella popolazione di quindicenni significa ragionare su eventuali disuguaglianze di opportunità educativa. E inoltre indagini come PISA ma anche PIRLS, TIMMS e INVALSI ci aiutano anche a ragionare su eventuali cambiamenti nel corso degli anni.»
Quali informazioni restituisce PISA 2023? Anche perché, a me pare, che non ci sia quell’inesorabile peggioramento di cui si parla, vero?
«No, non c’è alcun peggioramento inesorabile e in realtà non c’è mai stato. Da quando abbiamo iniziato a partecipare alle indagini internazionali, ovvero dalle prime indagini IEA di mezzo secolo fa, non abbiamo mai riscontrato alcun peggioramento inesorabile. Anche questa edizione delle prove PISA ci restituisce un quadro di sostanziale stabilità rispetto a vent’anni fa. Mi pare che le fluttuazioni positive (scienze e lettura) e negative (matematica) riguardino soprattutto il confronto con l’edizione del 2018. Se invece allarghiamo lo sguardo e ragioniamo sul lungo periodo ci rendiamo conto che rispetto al 2000 e al 2003 è cambiato ben poco. Questo significa che la scolarizzazione di massa non si è affatto tradotta, come in troppi temevano, in un peggioramento della qualità degli apprendimenti. Quella delle nuove generazioni che sarebbero sempre più ignoranti è una bufala, chiunque abbia voglia di leggere i dati PISA e anche quelli di indagini precedenti può verificarlo. È vero che le vecchie generazioni hanno qualche difficoltà i più a comprendere i testi e a fare i conti rispetto alle nuove, soprattutto in Italia. Lo mostra la ricerca OCSE-PIAAC. Forse è anche per questo che abbiamo l’impressione di un peggioramento, no?
Tuttavia, l’inesistenza di un peggioramento inesorabile non significa che le cose vadano bene, anzi: PISA conferma che i problemi ci sono e vanno affrontati»
Quali problemi e come affrontarli?
« L’OCSE-PISA ci ricorda che nel nostro paese le differenze tra territori, tra diversi istituti (licei, tecnici, professionali), tra femmine e maschi, tra quindicenni con diverso retroterra sociale, economico e culturale sono piuttosto rilevanti. Ignorare questo dato è molto grave, si tratta di un dato che conferma le disuguaglianze di opportunità che la nostra società dà ancora a ciascun individuo in base alla provenienza geografica, al genere, al ceto sociale. PISA ci ricorda che il carattere classista, sessista e razzista della nostra società incide sul nostro sistema scolastico. La scuola non è un’isola, e se davvero vogliamo che la scuola lavori in direzione ostinata e contraria dobbiamo investire. Dobbiamo investire sul reclutamento, sulla formazione e sulla remunerazione di docenti e dirigenti, perché altrimenti la didattica non migliora. Dobbiamo potenziare l’organico e ampliare gli spazi, perché lavorare in classi con 15 studenti è diverso che lavorare in classi con 25 studenti. Dobbiamo rivedere la struttura della nostra scuola secondaria, perché se vogliamo migliorarne l’equità è necessario rivedere la canalizzazione a 14 anni. In una società classista e iniqua come la nostra si tratta di una scelta troppo precoce. Bisogna investire, ma non mi pare che la politica italiana abbia voglia di mettere soldi per la scuola. Siamo tra gli ultimi paesi europei se consideriamo la percentuale di PIL investita in istruzione.
Scrive “Pensare di recuperare i mancati investimenti sparando dichiarazioni a vanvera in occasione dell’uscita dei rapporti di ricerca o è segno di incompetenza o di disonestà intellettuale”. Cosa servirebbe alla scuola italiana, oggi e subito?
«Oltre agli investimenti, che oggettivamente sono insufficienti, servono coraggio, intelligenza e pazienza. Serve il coraggio per controllare se i cambiamenti introdotti sono efficaci, servono l’intelligenza e la pazienza per valutare i loro risultati senza fretta. Invece mi pare che ogni governo pretenda di cambiare le cose senza investimenti adeguati, senza il coraggio di verificare se il cambiamento produca qualcosa di buono e senza avere la pazienza e l’intelligenza necessarie per capire che i cambiamenti hanno bisogno di tempo per essere apprezzati. Il risultato è che sulla scuola continuiamo a celebrare nozze coi fichi secchi sulla pelle di studentesse, studenti, famiglie e docenti. In effetti c’è sempre la possibilità che a mancare non siano coraggio, intelligenza e pazienza ma, molto più semplicemente, un briciolo di onestà intellettuale. Tuttavia, su questo non sono in grado di esprimermi. Certamente, oggi avvertiamo la mancanza di un fronte comune composto da scuole, famiglie, sindacati, studentesse e studenti. E credo che anche le università debbano mostrare un po’ più di coraggio».
Qualche giorno fa, professore, ha incontrato a Verona con la collega Elisabetta Nigris alcuni docenti che insegnano attraverso la valutazione educativa limitando o eliminando l’impiego dei voti in itinere. Insegnanti della primaria e delle secondarie hanno raccontato le loro esperienze soffermandosi in particolare sulle difficoltà che incontrano. Cosa è e come si opera con la valutazione educativa?
«Si tratta semplicemente di usare la valutazione come mezzo di insegnamento e di apprendimento. Se lo scopo della valutazione è quello di migliorare un’attività incidendo positivamente sullo sviluppo degli apprendimenti allora è necessario esprimere la valutazione non con i voti (numerici o meno che siano, non v’è alcuna differenza tra 6, sufficiente o base) ma riscontri descrittivi. Quindi abbiamo docenti che nel corso della didattica, in quella che viene definita “valutazione in itinere”, piuttosto che usare la valutazione per riempire di voti studentesse e studenti costruiscono con loro una relazione autenticamente educativa, usando gli errori come occasione di apprendimento e non come stigma o penalizzazione. Il risultato è che studentesse e studenti apprendono di più e meglio. Nel libro “La valutazione che educa” ho provato a ragionare sulle condizioni di realizzabilità di questa scelta, il fatto che ci siano scuole e insegnanti che apprezzano il testo e vogliono confrontarsi con me su questa proposta mi fa piacere e mi consente di imparare moltissime cose.»
, L’articolo originale è stato pubblicato da, https://www.orizzontescuola.it/le-indagini-ocse-pisa-non-misurano-competenze-e-non-e-vero-che-ce-un-peggioramento-degli-apprendimenti-intervista-al-prof-cristiano-corsini/, Politica scolastica, https://www.orizzontescuola.it/feed/, Antonio Fundarò, Autore dell’articolo