Nel 2022, il Centro Studi per la Scuola Pubblica (CESP) ha realizzato in otto città (Roma, Padova, Siracusa, Catania, Trieste, Reggio Emilia, Firenze, Pescara) convegni e corsi di aggiornamento su temi che emergono quotidianamente nella scuola riguardo alla complessa questione del genere, alle soggettività e alle tematiche LGBTQ+, all’istituzione della carriera alias, ai fenomeni di violenza e discriminazione basati sull’orientamento sessuale, sull’identità e sull’espressione delle minoranze sessuali (lesbiche, gay, bisessuali) o di genere (transgender o gender non conforming). Affrontare tali temi significa innanzitutto dar loro visibilità nella riflessione educativa che deve fare i conti con il silenzio che ha impedito in molti casi alla scuola di interrogarsi sulla sua responsabilità nel veicolare gli stereotipi e le aspettative di genere, nell’utilizzare un linguaggio sessista o testi che danno un’immagine patriarcale ed eterosessista delle relazioni famigliari. Chi ha lavorato per decostruire le immagini rigide sui ruoli e l’espressione di genere, ottenendo buoni risultati con le proprie classi, in molti casi ha dovuto far fronte alle resistenze dentro e fuori la scuola. Pensiamo all’attacco al Gioco del rispetto proposto nelle scuole dell’infanzia a Trieste o alle polemiche sull’adesione di molte scuole allo spettacolo teatrale Fa’afafine, per citare i casi più eclatanti; ma ci sono molti altri esempi di attacco alla scuola di forze dell’area integralista clerico-fascista.
Quando la posta in gioco è l’identità, vi è sempre la forte tendenza a blindarla, a definirne i confini e a difenderli da coloro che si considerano “aggressori”. Così è stato per la farlocca, ma brutalmente efficace, teoria gender, spesso sintetizzata con l’espressione il gender, lo spauracchio che viene agitato a danno di chi vuole promuovere nelle scuole iniziative e percorsi per una riflessione critica sulle categorie attorno alle quali, storicamente e socialmente, si è costruito il genere, a partire dal rigido binarismo maschio/femmina e la relativa divisione/gerarchizzazione dei ruoli. Come scrive bell hooks in Insegnare a trasgredire, la scuola può e deve far molto per scardinare le diverse forme di dominio (omofobia, sfruttamento di classe, razzismo, patriarcato, sessismo) che generano dolore in chi le subisce e contribuiscono a mantenere un sistema di oppressione che colpisce in modo intersezionale. Ad esempio, non si è solo donne ma si può essere al contempo lesbiche, precarie, migranti, nere. Nelle scuole, sempre più studenti vivono queste soggettività intersezionali: sono lesbiche, etero o bisessuali, transgender, ma al tempo stesso possono provenire da famiglie migranti o in cui la precarietà lavorativa determina sfruttamento e povertà. Una prospettiva intersezionale permette uno sguardo critico sul genere come forma di dominio, per capire quale spazio vi sia per decostruire il controllo delle identità, ridotte in molti casi a gabbie che costringono l’individuo ad adeguarsi alle norme socialmente imposte. Il dispositivo di controllo non agisce infatti solo “dall’alto verso il basso”, ma risulta diffuso ed efficace anche tra pari, attraverso modelli comportamentali che la psicologia sociale definisce norme sociali ingiuntive o prescrittive.
In questo contesto la scuola ha il compito educativo di riflettere sulle norme sociali, molto spesso implicitamente accettate se non subite, soprattutto quando ledono la dignità e la libertà delle persone appartenenti alle minoranze sessuali o di genere. Pensiamo, ad esempio, a quanto siano prescrittive le norme rispetto all’appartenenza al genere maschile. Come scrive Maya De Leo nel suo recente libro Queer. Storia culturale della comunità LGBT+, “la mascolinità contemporanea si configura come un genere ad alto tasso di performance poiché la ‘prova’ di virilità non può essere data una volta per tutte ma deve essere rinnovata quotidianamente, orientata alla subordinazione del ‘femminile’”. Performance che richiede l’interiorizzazione della gerarchizzazione dei generi, l’assunzione del modello eteronormativo e cisgender. L’uomo deve comportarsi da maschio, deve dimostrare la propria virilità subordinando il genere femminile, ribadendo di essere attratto sessualmente e affettivamente solo dalle donne ed esprimendo la propria mascolinità attraverso l’abbigliamento, il linguaggio e i comportamenti in modo socialmente accettato rispetto al genere assegnato alla nascita.
Uscire dai binari comporta la sanzione sociale, conseguenza della violazione o della deviazione da una norma: l’insulto, la derisione, l’isolamento, la discriminazione puniscono chi non rispetta la norma, e servono a prevenire altri comportamenti non conformi. Sia l’omolesbobitransfobia che il sessismo rappresentano pertanto processi di socializzazione delle norme che supportano e riproducono le disuguaglianze basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. È necessario quindi che chi deve educare sia consapevole di tali dinamiche e sia in grado di gestire il cambiamento di prospettiva, un rovesciamento che parta dal diritto e dalla libertà delle persone di vivere e costruire la propria identità sessuale, affettiva e di genere, creando nelle scuole le condizioni che favoriscano la visibilità delle persone e dei temi LGBTQ+, le iniziative per la prevenzione della violenza e dei pregiudizi di genere, omolesbobitransfobici e sessuali, l’affermazione dei percorsi di transizione di genere intrapresi dagli/dalle studenti. Il CESP continuerà a lavorare in questo senso, contribuendo alla formazione e all’aggiornamento del personale su questi temi affinché la scuola rappresenti un luogo dove tuttƏ possano star bene e vengano rispettati gli articoli 3 e 34 della nostra Costituzione.
Davide Zotti Esecutivo nazionale COBAS Scuola
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