Inviato da Enrico Maranzana – Lucia Borgonzoni, sottosegretario del Ministero dei Beni Culturali, ha detto: “I videogiochi sono cultura … Il nostro grande sogno è che diventino materia di studio come tutte le altre”.
Non è un sogno ma un incubo: si affastellano materie al fine di adeguare la scuola alle incessanti e imprevedibili mutazioni socio-culturali; un’affannosa e ansiogena corsa in una strada senza sbocchi.
E’ un’idea a rinforzo della visione del ministro dell’istruzione e del merito, modellata sull’organizzazione universitaria, che elabora interventi caratterizzati dalla parcellizzazione degli insegnamenti.
Si tratta di un riferimento che, oltre a contravvenire alle regole in cui la scuola è immersa è scientificamente errato: la cultura sistemica è assente e trascura l’origine della separazione del dicastero dell’istruzione da quello universitario, disposta nel 2020.
Può essere opportuno ricordare che la mission della scuola è lo “sviluppo delle capacità e delle competenze, attraverso conoscenze e abilità”.
Decodificando. Le materie sono “lo strumento e l’occasione” per la valorizzazione delle qualità individuali degli studenti, della loro capacità di scelta: sono da impiegare per il governo dei processi d’apprendimento.
Anche la mancanza di riferimenti alle esistenti pratiche didattiche, assimilabili alle prestazioni cognitive indotte dai videogiochi, è significativa. Le simulazioni siano d’esempio [si veda in rete “Laboratorio di matematica: Archimede”].
Riprendiamo “I videogiochi sono cultura” per focalizzarne l’aspetto educativo/didattico. Assumeremo il punto di vista di un utilizzatore.
Al giocatore è richiesto di risolvere problemi, di fare ricerca, di capitalizzare le informazioni contenute negli errori. Tutte situazioni che producono coinvolgimento, avendo a fondamento una motivazione autentica: il risultato atteso è l’oggetto dell’attività ludica.
Un’abissale differenza separa il gaming dalle attività scolastiche che, ancor oggi, sono scandite dai capitoli dei libri di testo.
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