Inizia un viaggio con Enel X e l’esperto Emanuele Bompan, autore del libro “Che Cosa è l’Economia Circolare”.
«L’Economia circolare? Quella che ricicla i rifiuti» dice Angela, 29 anni, ricercatrice di biologia. «Io riciclo i vecchi vestiti», sostiene Marika, 47 anni, impiegata. «Ma no, è anche un modo per usare la materia in maniera efficiente. Tipo riparando le cose o scambiandosele tra amici», aggiunge Giulio, il compagno, macchinista sui treni dello stato. C’è poi chi come Umberto non ha mai sentito il termine, o chi come Romina che dice subito, sbagliando, “è il riciclaggio di denaro, no?», o chi come Hammouda che conosce bene il concetto, «che si studia a scuola di design per ridurre l’uso delle materie prime ed eliminare l’idea di rifiuto».
Certo è che il termine economia circolare in Italia, così come nel resto d’Europa, è diventato di dominio pubblico. Se facciamo una ricerca online, impiegando il termine inglese “circular economy”, si ottengono circa 10 milioni di risultati, di cui ben 2,2 milioni con i termini italiani. Erano solo 471.000 nel 2016.
Gli scarti sono una risorsa importante. Nell’economia circolare le discariche non sono una soluzione.
Fotografia di MOHAMED ABDULRAHEEM/Shutterstock
Non esiste una definizione univoca di questo concetto. Ma gli assiomi sono chiari: ridurre la quantità di materie prime ed energia nella produzione di beni e servizi, massimizzare la durata di vita dei prodotti, e riusare o riciclare ogni scarto, dai rifiuti alimentari alle componenti dei grandi macchinari. L’obiettivo? Far crescere l’economia, riducendo gli impatti sul pianeta e sulla salute delle persone. «I beni di oggi sono le risorse per domani al prezzo di ieri», ama ripetere Walter Stahel uno dei padri dell’economia circolare e autore del libro Economia circolare per tutti. Concetti base per cittadini, politici e imprese (ed Ambiente). «Semplicemente l’economia circolare è un modo di utilizzare al meglio risorse, prodotti, rifiuti, evitando sprechi insensati».
A prestare attenzione a questo modello sono governi (come l’Olanda e la Finlandia che ne hanno fatto bandiera della propria economia, ma anche città come Milano o Austin, Texas), grandi imprese (Unilever, Ikea, Google, Renault) e organizzazioni internazionali (World Economic Forum, US Chamber of Commerce). L’Unione Europea ha realizzato un intero pacchetto di direttive sull’economia circolare che include importanti obiettivi di riduzione dei rifiuti, e un piano di azione che tocca i settori più disparati, dal riciclo dei vestiti a un piano per le batterie elettriche.
«L’economia circolare può davvero trasformare come produciamo i beni che consumiamo, creando nuove opportunità economiche», spiega Camilla Colucci, dell’agenzia di consulenza Circularity, «ogni rifiuto può diventare risorsa, ogni oggetto può essere realizzato minimizzando gli impatti».
Le lavanderie a gettoni sono un caso di prodotto-come-servizio ante litteram.
Fotografia di Fantimage/Shutterstock
Tiziana Monterisi osserva un grosso cumulo di paglia, pula e lolla. Sono gli scarti dalla risicoltura della Lomellina. «Fino a poco tempo fa questi scarti si bruciavano nei campi, ora ne possiamo fare materiali di edilizia: pannelli e isolanti, premiscelati per diventare bio intonaci, neomateriali per oggetti di design», spiega Monterisi, architetto e fondatrice della start-up Rice House. «La paglia mischiata alla terra può diventare un materiale da costruzione più economico di mattoni e cemento, perfetto ai fini del conseguimento di maggior efficienza energetica. La lolla, molto ricca in silice, è invece utile nell’architettura naturale per le sue caratteristiche d’impermeabilità e resistenza agli agenti atmosferici e alle muffe». Oggi qualsiasi rifiuto può diventare nuova materia. Dagli pneumatici fuori uso che si trasformano in pavimenti gommosi per i parchi da gioco, alle bottiglie in PET che diventano abbigliamento, dal normale riciclo della carta fino al riuso di fibre come carbonio e grafene, o addirittura il riciclo integrale di batterie e pannelli solari. Ci sono consorzi per la raccolta dei metalli preziosi contenuti nei rifiuti elettronici (RAEE) e start-up che fanno neo-tessuti con gli scarti della produzione del vino (Vegea). Non solo: nelle aziende sempre di più i sistemi di produzione sono disegnati per reintegrare nei processi di produzione gli scarti interni o esterni.
«Esistono processi complessi dove si impiegano intere componenti, come sono, per produrre nuovi prodotti», spiega Antonella Totaro, giornalista esperta di Economia Circolare. «Parti di automobili da rottamare in alluminio o acciaio estremamente durevoli possono essere impiegate, debitamente testate, per la costruzione di nuovi veicoli. Una strategia adottata da grandi nomi come Renault e Caterpillar. Infine c’è la questione energia: per essere circolari bisogna impiegare energia da fonti rinnovabili, ancora meglio se localmente, installando pannelli fotovoltaici su capannoni, parcheggi e impianti di produzione o persino a casa. Solo con energia 100% rinnovabile ci si può definire 100% circolari.
Pensiamo a oggetti come un trapano o un scaldabiberon. Oggetti complessi, composti da numerosi materiali. Nel primo caso, se non si è provetti bricoleur il trapano viene usato solo per pochi minuti durante l’intero anno. Nel secondo si fa un uso intenso in un arco di tempo limitato. In entrambi casi questi oggetti giacciono inutilizzati per la gran parte del tempo. Un’automobile viene usata solo per il 5% del suo tempo vita, per il resto rimane parcheggiata. Questo è di fatto uno spreco. «Noi siamo circondati di oggetti inutilizzati che hanno una grande impronta carbonica, ovvero contribuiscono al cambiamento climatico, che richiedono materie prime, oggi sempre più scarse, occupano spazio e hanno un costo», continua Stahel. «Immaginiamo invece che questi oggetti non siano di proprietà ma siano condivisi. Invece che pagare materie prime ed energia, beni che in Europa scarseggiano, si paga per il servizio di questi. In questo modo si favorisce l’occupazione e non l’estrazione». Le soluzioni sono tantissime: dal car sharing, dove più persone condividono un’auto, ai FabLab, centri di riparazione e montaggio dove è possibile noleggiare gli attrezzi di un’officina, passando per chi affitta vestiti come DressYouCan, condivide oggetti domestici. In Inghilterra sono nate vere e proprie librerie pubbliche di oggetti, attrezzi per il fai da te e il giardinaggio, oggetti per imparare nuove abilità come macchine da cucire e ukulele, cose per ospitare incontri come gazebo e altoparlanti e utensili per cucinare come estrattori e gelatiere. Ma per molte aziende sta diventando un nuovo modello di business. «Per un impresa dare un prodotto come servizio è un grande vantaggio», spiega Colucci. «Si riducono i costi che fare profitto con la materia si guadagna condividendo un bene e offrendo servizi addizionali, mentre a fine vita l’oggetto torna a essere una risorsa per l’azienda stessa, tramite il riuso o il riciclo».
L’energia rinnovabile, dunque circolare, è una condizione sine-qua-non per un’impresa sostenibile.
Fotografia di Enel X
«L’economia circolare inizia da come vengono progettati gli oggetti. Il design interviene a monte per realizzare progetti che siano più sostenibili», spiega Laura Badalucco, professoressa di Design di IUAV. «Noi dobbiamo creare oggetti che usino meno materiale possibile, siano facilmente disassemblabili e riparabili, usino solo materiali circolari, e siano facilmente modificabili». Fair Phone ha realizzato un telefono modulare. Se si rompe la fotocamera, basta sostituire il pezzo. Se vogliamo un chip più potente basta restituire quello vecchio e comprarne uno nuovo più potente. «Nell’economia circolare non basta ridurre i rifiuti e riciclare, ma serve realizzare prodotti più durevoli. Dunque che siano riparabili, che possano essere aggiornati, che siano più resistenti. E ovviamente che siano belli e funzionali». Gli esempi sono numerosi. Ad esempio Enel ha ridisegnato i contatori intelligenti trasformandoli in Green Open Meter, rendendoli più durevoli e più facilmente riparabili, oltre che direttamente connessi alla rete. Patagonia, il noto brand di vestiti per la montagna e l’outdoor, oltre che aver investito sulla durabilità, offre la possibilità di riparare con facilità i propri capi.
«L’economia circolare offre davvero la possibilità di un cambiamento importante», continua Camilla Colucci. «Ognuno di noi può farlo nella propria quotidianità. Dalla raccolta differenziata, alla riduzione del packaging, dalla gestione degli scarti alimentari alla scelta di prodotti circolari. Non solo, l’economia circolare può avere impatti sociali rilevanti. Dalla gestione dei rifiuti, alla riparazione di beni di uso comune si possono creare importanti opportunità di lavoro oppure processi di inclusione di categorie protette». E voi siete pronti ad abbracciare la rivoluzione circolare che racconteremo sulle pagine di National Geographic?
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