L’economia russa tiene (e il rublo recupera sul dollaro), le sanzioni contro Mosca funzionano davvero?

L’economia russa tiene (e il rublo recupera sul dollaro), le sanzioni contro Mosca funzionano davvero?

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Le conseguenze economiche

di Luca Angelini01 apr 2022

L'economia russa tiene (e il rublo recupera sul dollaro), le sanzioni contro Mosca funzionano davvero?

L’economia russa sta reggendo alle sanzioni. Ma reggerà agli autogol di Putin? Che le sanzioni siano un’arma a doppio taglio, che può ferire anche chi le impone, è cosa nota. Ma sono, quantomeno, efficaci per punire chi le subisce? Proprio in queste ore, ad esempio, il rublo ha recuperato sul dollaro tornando ai valori pre-aggressione russa contro l’Ucraina, attestandosi a quota 76 (-5,263%). In breve, per l’acquisto di un dollaro servono adesso 76 rubli, contro gli 84,95 del 24 febbraio e i 139,7 registrati il 7 marzo nel momento di massima debolezza.

L’efficacia delle sanzioni

Tornando all’efficacia delle sanzioni la risposta è complessa. E l’esperienza passata non è di eccessivo conforto (come ricorda Ferruccio de Bortoli). Qualche giorno fa, in un intervento su Project Syndicate, il politologo britannico, e membro della Camera dei Lord, Robert Skidelsky ha ricordato che due sarebbero le domande da farsi (e che troppo spesso non ci si fa): «Primo, a che punto le sanzioni diventano un percorso verso la guerra piuttosto che un’alternativa ad essa? Secondo, cosa dovrebbero raggiungere tali misure e quanto possono essere efficaci?». E aggiungeva che «mentre non c’è dubbio che le sanzioni occidentali alla Russia abbiano notevolmente aumentato, per i comuni russi, i costi della guerra di Putin, nessuno si aspetta che questo porrà fine al conflitto».

In verità, l’Economist scrive che l’economia russa sta rispondendo alle sanzioni meglio di quanto molti pensassero (o sperassero). Alcune misure prese da Mosca, come l’obbligo per ogni azienda esportatrice di convertire in rubli l’80% degli introiti in moneta straniera, le limitazioni agli scambi in Borsa o l’innalzamento dei tassi di interesse dal 9,5% al 20%, hanno fatto risollevare la moneta ed evitato, per il momento, un crac finanziario. Ma anche l’economia reale russa non sembra troppo male in arnese. I prezzi dei beni importati sono saliti, ma gli aumenti non sono generalizzati. Quanto all’economia nel suo complesso, «secondo una stima Ocse che utilizza i dati di ricerca su Internet, il Pil russo nella settimana fino al 26 marzo è stato di circa il 5% superiore rispetto all’anno precedente. Altri dati “in tempo reale” raccolti dall’Economist, come il consumo di elettricità e i carichi ferroviari di merci, stanno reggendo. Un tracciatore della spesa prodotto da Sberbank, la più grande banca russa, è leggermente in aumento nel confronto anno su anno».

La russia in recessione

È vero che la maggior parte degli economisti continua a prevedere che la Russia entrerà comunque in recessione nel corso di quest’anno. Se, però, il calo del Pil sarà davvero fra il 10 e il 15%, come stimato da alcuni esperti, dipenderà, secondo il settimanale britannico, da tre fattori. «Il primo è se, con la guerra che si trascina, i russi comuni inizieranno a preoccuparsi dell’economia e ridurranno le spese, come è successo nel 2014, quando la Russia ha invaso la Crimea. Il secondo è se la produzione russa alla fine si fermerà perché le sanzioni bloccano l’accesso delle aziende alle importazioni dall’Occidente. Il settore aeronautico russo sembra particolarmente vulnerabile, così come l’industria automobilistica. Eppure molte grandi imprese nate in epoca sovietica sono abituate a operare senza importazioni. Se c’è un’economia che può avvicinarsi al sopportare di esser tagliata fuori dal mondo, è quella russa. Il terzo e più importante fattore riguarda le esportazioni russe di combustibili fossili. Nonostante l’enorme numero di sanzioni impostele, la Russia sta ancora vendendo circa 10 miliardi di dollari di petrolio al mese ad acquirenti stranieri, equivalenti a un quarto delle sue esportazioni prebelliche; continuano ad affluire anche i ricavi dalla vendita di gas naturale e altri prodotti petroliferi. Ciò fornisce una preziosa fonte di valuta estera con la quale acquistare alcuni beni di consumo e parti da Paesi neutrali o amici. A meno che ciò non cambi, l’economia russa potrebbe reggersi in piedi ancora per qualche tempo».

Gli autogol di Putin

Una quarta incognita che forse bisognerebbe aggiungere sono, però, i possibili «autogol» di Putin (e non soltanto sul fronte bellico). Uno dei quali, secondo il Financial Times, è stata la richiesta, a chi compra gas e petrolio russi, di pagare in rubli. Non soltanto, di fronte alla fermezza dimostrata dall’Europa, in particolare da Germania e Italia, Mosca ha dovuto fare retromarcia (qui l’analisi di Federico Fubini). Ma la misura avrebbe comunque fatto più danni che altro. Da un lato, l’obbligo già vigente di convertire in rubli, come ricordato sopra, l’80% del ricavato da esportazioni, avrebbe reso la misura poco rilevante dal punto di vista finanziario e di sostegno monetario al rublo. Dall’altro, quella che doveva essere una misura in larga parte propagandistica, da presentare ai russi come punizione verso l’Occidente che ha osato punire Mosca, si è rivelata un doppio smacco. Primo, per la necessità di fare frettolosamente retromarcia. Secondo, perché l’imposizione era una palese violazione dei contratti stipulati, che specificano la valuta in cui effettuare i pagamenti (come appunto Germania e Italia hanno subito fatto notare). Una macchia sull’immagine russa di affidabilità nelle forniture ai clienti. «Ogni incentivo di breve termine al rublo — conclude il Financial Times — sarà sopravanzato da un danno di più lungo termine alla credibilità russa come controparte». Tutto ciò, ovviamente, non cancella gli errori occidentali — con, anche in questo caso, Germania e Italia in prima fila — nel legarsi mani e piedi alle forniture di gas russo

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, 2022-04-02 12:21:00, Il rublo è tornato ai livelli precedenti alla guerra contro dollaro. L’economia russa sta rispondendo alle sanzioni meglio di quanto molti pensassero , Luca Angelini

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