Inviato da Fernando Mazzeo – Dai dati Istat relativi al lavoro in Italia, emerge una situazione a tratti paradossale: l’occupazione cresce, ma il PIL resta in una situazione di generale stagnazione.
Le cause possono essere legate ad una cultura individualista e predatoria, che non riesce o fa fatica ad avviare un rapporto serio e costruttivo tra politica, educazione, vita economica e, soprattutto, a renderlo fermento, strumento di crescita e non limite all’interno della nostra società.
Per quanto guidata in gran parte da interessi personali e individuali, l’economia non può non tener conto dell’esistenza di una comunità che condivide determinati valori e che, costitutivamente, è aperta alla dimensione relazionale.
Lo sviluppo e la crescita di un lavoro che non sia povero e la conseguente ricaduta positiva sul PIL pro-capite, si rafforzano, prendono forma e producono benessere, non nell’idolatria consumistica, ma dentro e attraverso precipue relazioni sociali che, nella loro complessità, svolgono una funzione educativa ed esercitano un’influenza sull’intero sistema sociale, politico ed economico.
A livello antropologico ed etico, in cui è in gioco il senso dell’attività economica e il senso della vita umana stessa, ogni sistema economico dovrebbe includere anche l’educazione, che ha il compito, non secondario, di accrescere la consapevolezza della funzione sociale del lavoro ed evidenziare i limiti delle strategie di non investimento di numerose aziende e della mancanza di formazione e di reinserimento dei disoccupati.
In una società come la nostra, aperta verso una nuova cultura d’impresa, ma al tempo stesso ancorata a quella antica, la necessità di creare nuovi incentivi al lavoro attraverso una maggiore partecipazione dei giovani alle attività economiche e una sostanziale diffusione di percorsi educativi professionalizzanti, è una priorità politica, culturale, sociale ed economica.
Il gran male è quello di non aver elevato il tipo standard della scuola secondaria, come base necessaria per una moderna educazione al lavoro, di non aver reso fecondo quell’intrico vitale fatto di libertà d’azione e creazione, di cura e di legami non illusori e, soprattutto, aver allontanato la scuola dal mondo produttivo e favorito forme economiche ben lontane dal quadro del bene comune, che hanno dato luogo ad una società prigioniera del meccanismo della sua stessa economia, una società di mercato.
La spietata economia del profitto, l’oppressione capitalista e la scorporazione dei beni economici da quelli culturali, stanno creando una sorta di desolazione intellettuale che produce povertà e non aiuta a creare le condizioni ambientali e pedagogiche necessarie alla formazione dell’uomo, allo sviluppo integrale di ogni persona, ad uno stile di vita sociale e personale, più consono alla nostra dignità.
L’economia dei numeri, la politica dell’avere, la voluttà del possesso, ci isolano dagli altri, mettendoci, necessariamente, in una posizione di sfruttamento altrui, cioè, di negazione dell’essenza umana, che nella socialità e nella reciprocità delle relazioni educative attua la sua compiutezza.
Il futuro dell’economia, del lavoro e dell’ umanità, dipendono totalmente dall’educazione dell’uomo totale, dall’ estensione universalistica dei beni materiali e culturali.
In questa prospettiva, il rispetto della dignità umana, la giustizia sociale, l’educazione, il lavoro, il diritto ad una qualificata e moderna istruzione polivalente (umanistica, scientifica, tecnica e professionale), possono avere un gran peso, specialmente se si tiene conto che il progresso non può prescindere dalla dialettica delle azioni, dalla reciprocità degli stimoli ricevuti e provocati da tutti gli individui all’interno della società.
Il compito della politica, dell’economia, della scuola e dell’educazione è quello di insistere sul valore culturale, morale e sociale del lavoro e fornire tutti i mezzi e gli strumenti necessari per l’autorealizzazione della personalità.
La scuola per non rimanere una vuota e inconcludente parentesi esistenziale, contro l’economia che tutto pretende di comprendere e spiegare, deve collocarsi in un precipuo orizzonte di educazione per la vita.
La lotta per la dignità e il lavoro devono essere prima di tutto lotta per l’educazione
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