È quanto ha stabilito la Cassazione, con sentenza n. 30418 del 2 novembre 2023.
Il caso
A seguito di una serie di controlli, la Guardia di Finanza si avvedeva che una dipendente in alcune occasioni era uscita dalla scuola, senza strisciare il badge, né all’uscita né al rientro.
La dipendente si difendeva, osservando che l’uscita si era verificata durante la “pausa pranzo”, quando dunque tecnicamente non era tenuta a prestare servizio.
La falsa attestazione della presenza in servizio
L’Amministrazione intimava comunque il licenziamento disciplinare, sulla base di quanto disposto dall’art. 55 quater, comma 1 bis del d.lgs. n. 165/2001 che prevede il licenziamento disciplinare in caso di falsa attestazione della presenza in servizio.
La stessa norma precisa che costituisce falsa attestazione della presenza in servizio qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso”.
Il principio di proporzionalità
È pur vero che la stessa Corte (sulla base di quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 123 del 2020) ha più volte affermato che nel nostro ordinamento non può essere previsto alcun automatismo per le “sanzioni espulsive”, essendo comunque necessario applicare il principio di proporzionalità.
Nel caso in specie, di fatto, il “danno” subito dall’Amministrazione era di rilevanza trascurabile, sia perché l’assenza aveva riguardato un numero esiguo di ore, sia perché l’assenza si era verificata quando la dipendente era in pausa pranzo.
Il “piano di lavoro” del personale Ata
Occorre considerare che nel piano di lavoro per il personale Ata di quella scuola era espressamente previsto che l’accertamento della presenza sul posto di lavoro del personale doveva avvenire tramite la timbratura elettronica del badge personale e che nel caso di dimenticanza del badge bisognava segnalare tempestivamente la cosa al DGSA.
Era inoltre stabilito che l’uscita durante l’orario di lavoro doveva essere preventivamente autorizzata dal DGSA e che in caso contrario il dipendente sarebbe stato considerato assente ingiustificato.
La gravità del fatto
Secondo la Corte, le condotte tenute dalla lavoratrice non possono essere giustificate o comunque valutate con minor rigore solo perché poste in essere in coincidenza dell’orario della pausa pranzo, visto che era chiara a tutto il personale l’esistenza dell’obbligo di procedere alla timbratura anche nel caso di assenza per recarsi a pranzo.
Pertanto, la condotta della lavoratrice non va valutata sulla base del (tenue) danno patrimoniale subito dal datore di lavoro, ma occorre valutare la condotta “sotto il profilo del valore sintomatico che può assumere rispetto ai suoi futuri comportamenti”, e alla sua “idoneità a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e ad incidere sull’elemento essenziale della fiducia, sotteso al rapporto di lavoro”.
Il danno all’immagine
La Corte ha dunque respinto il ricorso della lavoratrice, considerando legittimo il licenziamento disciplinare, “attesa la gravità dell’inadempimento commesso dalla dipendente e il rilevante danno all’immagine dell’Amministrazione affermato anche dalla Corte dei Conti”.
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