Letta, una coalizione più ampia possibile  per non perdere le elezioni a tavolino

di Roberto Gressi

La necessità di una coalizione larga per la sfida di settembre. Il rammarico tra i dem: il centrodestra diviso si è accordato subito

Dire che sia preoccupato è dire poco. Anche perché ogni giorno in più di liti, rasoiate, polemiche, minacce, di «allora me ne vado» e di «vattene che è meglio», è un giorno in meno di campagna elettorale. Dire che non gli è passato per la testa in queste ultime ore di mandare tutti a stendere i panni, puntando sul fatto che stando anche ai sondaggi arrivati ieri è forse un pelino sopra Giorgia Meloni, sarebbe mistificazione.

Ma Enrico Letta si è preso le stimmate del federatore e se le tiene. Ha puntato l’intera cifra della sua segreteria del Pd sul fatto che l’autosufficienza è un’illusione, non intende far marcia indietro adesso, anche se il finale è ancora particolarmente incerto: con i possibili, probabili, impossibili alleati che in queste ore non hanno fatto altro che sballottarlo da una parte all’altra.

«Enrico si può andare avanti così?». Questo è Carlo Calenda che posta un video con Nicola Fratoianni che dice no all’agenda Draghi e un altro con Angelo Bonelli che gli dice che è un bambino viziato e che va educato. «Letta, non dici niente?». Questi sono Fratoianni e Bonelli che si lamentano perché Calenda ha detto che non li vuole più vedere nemmeno dipinti. «Se questa è la posizione del segretario del Pd, tanti saluti». Queste sono le liste civiche che non vogliono fare una lista con Luigi Di Maio e che dicono che il simbolo che eviti la gravosa e quasi impossibile raccolta delle firme per presentarsi alle elezioni glielo da Italia viva. E infine c’è appunto Matteo Renzi, che gira intorno al fortino assediato e dice che se Calenda rinsavisce è ben pronto a fare con lui il terzo polo.

Né paiono servire le battute di Matteo Orfini, che chiede se non c’è un hacker che mandi in down Twitter per tre giorni, così da chiudere l’accordo senza drammi. Né gli appelli di Dario Franceschini al quale Calenda risponde che il terzismo alla «volemose bene» con lui non funziona.

Ed eccolo Calenda, che in serata fa filtrare che l’intesa con il Pd prevede il sì alla Nato e all’agenda Draghi e che se Letta firma altri accordi antitetici (con i Verdi e Sinistra italiana) per lui è finita qui.

Il segretario del Pd rivendica di aver guidato il partito che più di tutti gli altri si è dimostrato leale con Mario Draghi e che non c’è contraddizione nell’aggiungere i diritti civili e una maggiore lotta alle disuguaglianze, che erano frenate dalla presenza nel governo di parte del centrodestra. E che la serietà e il patriottismo dell’agenda Draghi sono patrimonio indiscusso.

Non è soltanto un gioco del cerino con il possibile alleato, fatto per scaricare sull’altro la responsabilità di un’eventuale rottura. Per Letta lasciar cadere il tentativo di costruire una coalizione larga sarebbe come decidere di perdere a tavolino contro le destre senza neppure scendere in campo.

Davvero, si dice nelle stanze dei dem, si vuole rischiare di far saltare tutto per un rigassificatore? E si ricorda che dall’altra parte si è chiuso in poche ore un accordo elettorale passando sopra, senza colpo ferire, su differenze ben più marcate. Nel centrodestra, si osserva, c’è chi ha sostenuto il governo Draghi e chi a quel governo si è opposto fin dal primo minuto. Per non parlare della politica estera, con Giorgia Meloni convinta atlantista e con Silvio Berlusconi e Matteo Salvini sensibili alle istanze dell’uomo che ha invaso l’Ucraina, Vladimir Putin.

Sempre al Nazareno si risponde a chi era e ancora è tentato da un’alleanza con i Cinque Stelle di Giuseppe Conte. Il no resta solido, e non solo perché Conte, insieme a Forza Italia e alla Lega ha affondato il governo, ma perché si avvia a una campagna elettorale che avrà in prima linea Alessandro Di Battista, che non ha mai fatto mistero di sentirsi più dalla parte dell’autocrate russo piuttosto che da quella dell’Europa e degli Stati Uniti.

Spinte a non buttare tutto all’aria continuano a venire da +Europa di Emma Bonino e lo stesso Bruno Tabacci dice di smetterla con le fatwe , perché lui ha una certa età e sa che se si continua così finisce male. Il sindaco dem di Pesaro, Matteo Ricci, difende la strada degli accordi bilaterali e fa venire in mente altri anni, in cui Silvio Berlusconi mise così insieme, contro le sinistre, Umberto Bossi e Gianfranco Fini. Difficile dire quanto la partita sia ancora aperta e si avverte quanto la battuta di Maurizio Gasparri, che giudica le diatribe dell’incerta alleanza un cartone animato, per quanto dettata da spirito di parte, non sia priva di elementi di verità.

In attesa della prossima, imminente, puntata, dalle parti del segretario del Pd si continua a puntare tutte le fiches sull’accordo, giudicato assolutamente indispensabile con questa legge elettorale. Ma c’è anche forte il timore del cupio dissolvi.

6 agosto 2022 (modifica il 6 agosto 2022 | 07:09)

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, 2022-08-06 05:27:00, La necessità di una coalizione larga per la sfida di settembre. Il rammarico tra i dem: il centrodestra diviso si è accordato subito, Roberto Gressi

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