Liceo classico o studi scientifici? Non dimentichiamo le vocazioni del nostro territorio

Liceo classico o studi scientifici? Non dimentichiamo le vocazioni del nostro territorio

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Il liceo classico è davvero in crisi? A guardare i dati, forse: nel 2021/2022 gli iscritti erano il 6,5% degli studenti, nel 2023/24 ne contiamo il 5,8%. Il dato ha aperto un dibattito sul ruolo e sull’utilità del liceo classico, che giorno 9 febbraio ha visto anche l’intervento del Direttore del quotidiano “Domani”, Stefano Feltri. Alle argomentazioni risponde il nostro direttore.

Caro Direttore.

Insegno materie classiche in un liceo di Roma che ha sia l’indirizzo classico sia quello scientifico e da qualche anno dirigo il portale Orizzontescuola.it. Condivido nella sostanza il suo ragionamento: il liceo scientifico, contemperando in maniera finora armoniosa saperi scientifici e saperi letterari, assicura una preparazione generale più completa in vista delle scelte future.

Vorrei però sottoporle una riflessione: le argomentazioni a supporto degli studi classici – e concordo con lei sul fatto che spesso sono flosce, prive di dati cogenti, più o meno le stesse da svariati decenni – vanno forse nella direzione di una valorizzazione della cornice umanistica della conoscenza in generale, affinché essa non venga sminuita agli occhi dell’opinione pubblica e non venga indebolita anche all’interno degli altri curricoli di studio. Questo riflesso condizionato a difendere il classico sempre e comunque nasce, a mio sentire, dal timore che gli affondi contro lo studio del latino e del greco siano il cavallo di Troia per una generale rimozione degli studi linguistici e letterari dai percorsi formativi progettati per essere più in sintonia con le richieste del mondo del lavoro.

Un nervo scoperto che i dati diffusi dal Ministero dell’Istruzione e del Merito sembrano non smentire: se, per esempio, guardiamo più nel dettaglio quel 26,1 per cento di studenti che intraprenderanno il liceo scientifico, scopriamo che quasi la metà di loro ha optato per gli indirizzi tecnologico (10 per cento) e sportivo (2 per cento), all’interno dei quali non si studia il latino. Se tale tendenza crescesse ancora, ne avremmo subito un riflesso in termini occupazionali, con una contrazione inevitabile di iscritti ai corsi di laurea specifici per questa classe di concorso e un altrettanto ineluttabile condizionamento a livello di investimenti nel campo della ricerca umanistica in generale (dal momento che le risorse economiche che le università destinano alla ricerca dipendono dal numero degli iscritti).

Nati come siamo in un territorio su cui, per una serie di concatenazioni storiche, le vestigia del passato si sono conservate più che in altri e possono continuare a rappresentare una fonte di reddito significativa (almeno fino a quando, come qualche tempo fa mi ha suggerito un simpatico laureato in medicina, i ceti abbienti non abbandoneranno il turismo culturale e nessuno più verrà a visitare quattro pietre finalmente e definitivamente mute), non so se possiamo permettercelo.

In estrema sintesi credo che – in attesa di una riforma dei cicli scolastici magari a biennio unico – il liceo classico dovrebbe restare una possibilità formativa per quanti individuino precocemente un interesse, una passione verso il patrimonio culturale, la sua trasmissione e conservazione, e che andrebbe proprio valorizzato come vivaio per le facoltà universitarie che consentono di acquisire un sapere scientificamente fondato in quella direzione.

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