Sarà forse per entrare in sintonia con la parola d’ordine meloniana del rilancio dell’identità nazionale che la proposta di istituire per legge un “Liceo del Made in Italy”, già presentata in Senato nel luglio dell’anno scorso – ben prima delle elezioni del 25 settembre – da parlamentari di Fratelli d’Italia, è stata ripresentata dai suoi proponenti in questa legislatura (ddl n. 497), e incardinata dal 23 gennaio 2023 nella Commissione Cultura e Istruzione.
Può darsi che questo ddl sia stato ripresentato d’ufficio, come accade spesso all’inizio di ogni nuova legislatura per le tante proposte non esaminate in quella precedente, ma è un fatto che esso sia stato ripreso da Giorgia Meloni in occasione del Vinitaly di Verona di quest’anno: “Vogliamo valorizzare il legame che esiste tra la nostra cultura, i territori e la nostra identità”, sono state le sue parole; “per questo il Governo lavora al ‘liceo del made in Italy’”, ha detto la premier parlando peraltro a un gruppo di studenti di un istituto agrario, e lodandoli per la loro scelta.
Ma che caratteristiche avrebbe questo nuovo liceo, sul quale è difficile rintracciare dichiarazioni del ministro Valditara? Sarebbe un corso di studi da affiancare agli altri attuali licei, tendenzialmente orientati alla prosecuzione degli studi, o avrebbe una valenza professionalizzante, più affine a quella degli istituti tecnici e professionali? E in questo caso servirebbe davvero?
Difficile dedurlo dal curriculum indicato per il primo biennio, non molto diverso da quello degli istituti tecnici (lingua e letteratura italiana, cultura straniera, storia dell’arte, matematica, informatica, scienze naturali, fisica, scienze motorie e sportive, storia e geografia, diritto ed economia politica, religione cattolica o attività alternative), salvo che per la sostituzione dell’inglese con una anonima “cultura straniera” – singolare per un liceo del “Made in Italy” – e per l’inserimento della storia dell’arte. Nel secondo biennio e nell’anno finale compaiono materie professionalizzanti legate però non al saper fare ma, come sembra dalle notizie finora disponibili, al saper vendere: economia e gestione delle imprese del Made in Italy, modelli di business (altro anglicismo) nelle industrie dei settori della moda, dell’arte e dell’alimentare, Made in Italy e mercati internazionali, tecniche di marketing e inoltre, forse per evidenziare il carattere liceale di questo corso di studi, filosofia…
Per la verità il profilo del diplomato proveniente da un percorso liceale di questo genere appare vago, anche se sembrerebbe più affine a quello degli istituti tecnici del settore economico, ad alcuni dei quali si sovrapporrebbe (per esempio al percorso Amministrazione, finanza e marketing) senza averne una altrettanto chiara finalizzazione e compattezza. Sarebbe certamente più semplice integrare con riferimento al Made in Italy i curricula degli attuali istituti tecnici economici.
Diverso e più complesso è il discorso che riguarda gli istituti tecnici del settore tecnologico, i veri protagonisti del Made in Italy (Meccanica, Meccatronica ed Energia, Trasporti e Logistica, Elettronica ed Elettrotecnica, Informatica e Telecomunicazioni, Grafica e Comunicazione, Chimica, Materiali e Biotecnologie, Sistema Moda, Agraria Agroalimentare e Agroindustria, Costruzioni, Ambiente e Territorio). L’ing. Valerio Ricciardelli, uno dei maggiori esperti italiani di Technical Education, ricorda in un articolo pubblicato sulla testata online Larionews.com che “la parte preponderante del PIL del made in Italy è composta da quel settore che, un po’ impropriamente, è chiamato meccanica strumentale. Si tratta di un particolare settore del manufacturing, trasversale a molti settori industriali, dove le nostre aziende (ricordo ancora che l’Italia è il secondo paese manifatturiero in Europa dopo la Germania), spesso in una “supply chain lunga”, producono componenti, macchine, sottosistemi e sistemi industriali, ad alto contenuto tecnologico e soprattutto destinati all’esportazione”.
Ecco perché per rafforzare davvero il Made in Italy serve rilanciare in primo luogo gli istituti tecnici industriali (tra i quali ci sono anche gli istituti agrari così apprezzati da Giorgia Meloni), dei quali le imprese italiane (e la bilancia commerciale del nostro Paese) hanno urgente bisogno, e non avventurarsi nell’invenzione di un nuovo liceo, che più che una riforma sembra – almeno per quel che se ne sa al momento – un inutile artificio retorico.
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