Qualche giorno fa vi abbiamo parlato della scuola, il liceo linguistico Manzoni di Milano, in cui un’associazione studentesca, il Collettivo Manzoni Antagonista, ha somministrato agli studenti un sondaggio relativo al loro stato emotivo e allo stress causato dalla scuola e dalle pressioni sociali legate allo studio e al rendimento scolastico.
L’occupazione in seguito alla diffusione dei risultati del sondaggio
Ciò che è emerso è preoccupante: secondo l’indagine sette studenti su dieci soffrono spesso di crisi di pianto o crollo emotivo dovuti alla scuola. Addirittura il 16% dei partecipanti denuncia di averli sempre. Uno studente su due, inoltre, non sente valorizzato il suo impegno da parte dei docenti e sente influenzata la propria salute mentale proprio dalla scuola.
Più della metà dice di sentirsi classificato solo in base ai voti e forzato a raggiungere l’eccellenza. “Fondare la scuola su concetti come merito e competitività, alimentando un continuo stato di pressione, trasforma lo studio da accrescimento personale a un’interminabile prestazione”, scrive il gruppo studentesco in un comunicato. L’obiettivo è che “questa nostra analisi non sia fine a se stessa, ma principio di un cambiamento” concludono i ragazzi.
Proprio a partire da questo quadro per nulla rassicurante lo stesso Collettivo ha deciso di promuovere, dopo un’assemblea in palestra, un’occupazione della scuola da oggi, martedì 18 aprile. “Serve un cambiamento: la scuola deve essere un luogo in cui ci si può sentire a proprio agio e liberi di esprimersi. Con questa occupazione vogliamo far sentire la nostra voce e far capire che la scuola non deve essere vissuta come una prigione, ma come un luogo dove potersi realizzare e crescere”, questo si legge nel comunicato diffuso dall’associazione.
“Un paese che non si interessa delle proprie scuole è un paese senza futuro ed è per questo che la nostra critica è rivolta soprattutto alle istituzioni, che non si rendono conto del disagio che si percepisce in ogni scuola italiana. La nostra critica, dunque, è rivolta alla nostra scuola, in quanto inevitabile proiezione delle problematiche sistemiche, di cui abbiamo avuto conferma grazie al questionario compilato da noi studenti, protagonisti di questo modello di scuola”, hanno aggiunto.
“Genitori e docenti non interessati al disagio psicologico”
Nel documento sono presenti i vari punti critici su cui gli studenti credono che bisogna intervenire per plasmare un nuovo modello di scuola. Innanzitutto la salute mentale degli studenti e l’atteggiamento dei docenti: “Per molti genitori e docenti il benessere psicologico non è qualcosa di cui preoccuparsi e talvolta sembrano voler mettere in difficoltà gli studenti per ‘temprarli’. Per molti docenti gli interessi degli studenti al di fuori della scuola sono superflui e sembrano ignorare che possano avere difficoltà che impediscono loro di studiare. Infatti, gran parte degli studenti sono incoraggiati ad abbandonare le proprie attività extrascolastiche per dedicarsi interamente allo studio. La mancanza di empatia da parte dei docenti è uno dei problemi maggiormente riscontrati nella nostra scuola e forse sarebbe ora di capire che l’eccessiva severità non è necessariamente funzionale all’apprendimento”.
Poi, il sistema di valutazione: “L’idea del voto è un tormento, la media un chiodo fisso nella mente degli studenti. Assegnare un numero per valutare la performance degli studenti è un concetto arcaico, che non tiene conto dei fattori umani, delle aspirazioni e dei talenti personali di ogni studente”.
“Vogliamo immaginare una scuola diversa, dominata da sentimenti più sereni, dove lo studio torni ad essere un interesse genuino, una forma di arricchimento personale che prescinde dal giudizio esterno, in cui lo studente non è costretto a calibrare il proprio impegno in funzione del voto e della media”.
“Metodi di valutazione più sereni dovrebbero quindi abbandonare l’analisi numerica delle virgole e dei decimali, della media aritmetica e ponderata e avere come unico fondamento l’idea di aiutare lo studente nel loro percorso, di aiutarlo ad individuare eventuali lacune o imprecisioni, fornendo consigli e direzioni da seguire, spronandoli a continuare, dimenticando l’approccio punitivo che vuole vederci o come eccellenze, piccoli trofei da esibire, o come quelli che sono stati schiacciati dal peso della scuola e che non ce l’hanno fatta”, continuano.
E, poi, il merito: “Coloro che riescono a raggiungere questi standard di perfezione vengono idolatrati e presi ad esempio, facendo sentire inadeguati chi quei risultati li ha raggiunti impiegando più tempo o con più difficoltà”.
“La scuola è fatta da persone che, da ogni lato, possono sbagliare”
Infine, c’è spazio anche per una riflessione sul rapporto tra docenti e studenti: “Il rapporto tra docenti e studenti, altamente soggettivo e variabile, è generalmente vissuto come un rapporto necessariamente impari da parte di entrambe le parti. La scuola è fatta di persone che, da ogni lato, possono commettere degli sbagli, mettersi in discussione e migliorarsi, come anche far valere le proprie posizioni. Ciò non vuole legittimare comportamenti arroganti per cui gli studenti hanno la presunzione di saperne di più dell’insegnante; al contrario, l’intento è promuovere il dialogo e l’ascolto, poiché in quanto studenti è facile sentirsi schiacciati dal peso dell’autorità dei docenti con cui abbiamo bisogno di confrontarci e con cui spesso sentiamo un inevitabile senso di impotenza che ci impedisce di far valere il nostro pensiero”.
“Purtroppo, però, anche i docenti devono affrontare enormi insidie nel mondo della scuola, dato che il precariato, ampiamente diffuso all’interno della scuola italiana, mette in estrema difficoltà sia docenti, che si vedono costretti ad un lavoro sempre in bilico, sia gli studenti che si trovano a dover cambiare figura di riferimento anche più volte in un anno, dovendosi adattare costantemente a nuovi metodi e strategie. I dati raccolti grazie al nostro sondaggio dimostrano che più della metà degli studenti accusa di aver cambiato troppo spesso docenti e che ciò ha influito sul loro percorso di studi”, hanno concluso, toccando il tema del precariato.
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