L’Influenza Russa del 1889 forse causata da un coronavirus: “Sintomi simili a Covid”

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La pandemia della cosiddetta “Influenza Russa” scoppiata nel 1889 potrebbe non essere stata causata da un virus dell’influenza, bensì da un coronavirus, lo stesso genere cui appartiene il SARS-CoV-2 responsabile dell’attuale pandemia di COVID-19. A suggerirlo sono diversi studiosi, che hanno iniziato a cercare le prove a sostegno di questa ipotesi in campioni di tessuto polmonare umano dell’epoca, preservati nelle facoltà di medicina e nei musei. La pandemia di Influenza Russa, nonostante sia scoppiata “appena” 130 anni fa, resta in larga parte un mistero; è noto che iniziò a dilagare nella città di Bukhara e ben presto si diffuse nel resto del pianeta, con tre successive ondate – fino al 1895 – che si ritiene uccisero oltre un milione di persone. È interessante notare che morirono principalmente anziani, proprio come avviene nella pandemia di COVID-19, mentre quella di Influenza Spagnola del 1918 fece strage di giovani. Questo è soltanto uno dei punti di contatto che hanno spinto alcuni scienziati a credere che l’influenza russa potrebbe in effetti non essere stata un’influenza, bensì un’infezione respiratoria scatenata appunto da un coronavirus.
Tra i ricercatori che sostengono questa ipotesi vi sono il professor Harald Brüssow – microbiologo svizzero del Dipartimento dei Biosistemi dell’Università KU di Lovanio (Belgio) – e il collega Lutz Brüssow, Specialista in Medicina Interna, Angiologia e Gastroenterologia presso Neuss (Germania). Nell’articolo “Clinical evidence that the pandemic from 1889 to 1891 commonly called the Russian flu might have been an earlier coronavirus pandemic” pubblicato sulla rivista scientifica specializzata Microbial Biotechnology, i due esperti sottolineano che ci sono molti molti punti in comune tra la pandemia di 130 anni fa e quella attuale. Oltre al fatto che l’infezione respiratoria colpiva più violentemente gli anziani rispetto ai bambini, l’influenza russa scatenava patologie multisistemiche con sintomi respiratori, gastrointestinali e neurologici, compresa l’ageusia / disgeusia (la perdita o l’alterazione della percezione del gusto) e l’anosmia, la perdita dell’olfatto. Sono due dei sintomi più caratteristici della COVID-19. All’epoca della pandemia di Influenza Russa furono osservati anche sintomi persistenti che duravano per mesi, esattamente come avviene con la Long Covid o sindrome post-COVID-19. Inoltre molti pazienti svilupparono trombosi in diversi organi, infiammazione e condizioni reumatiche, anch’essi tutti effetti osservati nei pazienti Covid.
Nonostante i parallelismi, evidenziati anche dal professor Tom Ewing del Virginia Tech sul New York Times, al momento non ci sono prove concrete sul fatto che la pandemia di influenza russa possa essere stata effettivamente scatenata da un coronavirus. “Ci sono pochissimi dati concreti”, ha chiosato sul NYT il professor Frank Snowden dell’Università di Yale, aggiungendo che al momento si tratta solo di speculazioni. Di diverso avviso il professor Scott Podolsky, docente di Salute globale e Medicina sociale presso la prestigiosa Scuola di Medicina dell’Università di Harvard, secondo il quale l’ipotesi coronavirus è “plausibile”. Riuscire a trovare la “pistola fumante” nei campioni di tessuto polmonare dell’epoca potrebbe non solo svelare il mistero dell’Influenza Russa, ma anche aiutarci a prevedere il futuro dell’attuale pandemia di COVID-19. Se davvero fosse stata causata da un coronavirus, non è inverosimile immaginare che il patogeno responsabile non sia sparito del tutto, ma sia diventato uno dei quattro coronavirus che attualmente sono responsabili del comune raffreddore. Una parabola rassicurante, insomma, ma della quale non vi è assolutamente certezza.
Come indicato dal New York Times, secondo il professor Harald Brüssow il coronavirus attualmente circolante chiamato OC43 (responsabile di forti raffreddori) potrebbe essere passato dalle mucche all’uomo nel 1890. Lo scienziato non esclude che possa trattarsi di una variante del patogeno che causò la famigerata influenza russa. Così come potrebbero esserlo gli altri tre patogeni respiratori che oggi causano raffreddori, più lievi di OC43. La risposta a questi enigmi potrebbe arrivare proprio grazie allo studio dei campioni polmonari preservati.
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