Linguaggio italiano dei segni, strumento di inclusione: impararlo come se fosse una lingua straniera

Linguaggio italiano dei segni, strumento di inclusione: impararlo come se fosse una lingua straniera

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Il mondo dell’inclusione è ampio e complesso, non è facile riuscire ad essere sempre pronti ad fronte le varie necessità, per questo è importante avere a disposizione strumenti che facilitino l’approccio del docente alle varie problematiche. Tra questi aspetti una particolare attenzione riguarda gli strumenti che possono essere d’aiuto ai docenti per interagire con i bambini che hanno una specifica necessità come può essere l’utilizzo del linguaggio Italiano dei Segni. Ne abbiamo parlato con la Dottoressa Laura Fumagalli, responsabile di MyEdu, editore digitale che si occupa di realizzare contenuto didattici innovativi.

Dottoressa Fumagalli, perché è importante supportare i docenti della scuola primaria con uno strumento sul linguaggio italiano dei segni?

MyEdu da più di un decennio si occupa di progettare e realizzare risorse editoriali e contenuti che possano essere utilizzati per facilitare la didattica e l’apprendimento. Era nostra intenzione sviluppare attività sempre più inclusive che andassero ad inglobare contenuti in LIS in modo che gli insegnanti della scuola primaria fossero facilitati nell’interagire con i bambini bisognosi di questo approccio. Per una coincidenza temporale siamo entrati in contatto con Vittoriana Losavio, che è assistenza alla comunicazione LIS, con la quale abbiamo sviluppato uno strumento di supporto innovativo per la scuola primaria che permettesse un’integrazione di tutta la classe in un contesto legato all’uso del linguaggio dei segni.

Ci può spiegare qual è l’impostazione metodologica che avete scelto?

L’impostazione metodologica è quella di approcciarsi alla lingua dei segni come fosse quello di imparare una lingua straniera. Naturalmente non ci rivolgiamo agli adulti, ma ad un contesto classe con bambini piccoli, quelli della scuola primaria, per questo più che alla grammatica abbiamo pensato di farli interagire con episodi di vita reale che venivano tradotti in linguaggio dei segni. Ovviamente ci sono dei vocaboli specifici che vanno appresi per la loro importanza, come ad esempio l’alfabeto in lingua dei segni. Il nostro obiettivo finale, oltre a quello di fornire ai bambini che abbiano delle specifiche disabilità la possibilità di imparare le materie con strumenti più familiari a loro, è anche quello di incuriosire tutti gli altri, che non hanno conosciuto la lingua dei segni, ad imparare un linguaggio nuovo con delle strategie comunicative non verbali, creative, ricche e pienamente inclusive. Vediamo l’inclusione più a doppio senso.

Alla base di questo lavoro c’è l’obiettivo dell’inclusione, ma che cos’è per voi l’inclusione?

Per noi l’inclusione, lavorando da tantissimi anni con insegnanti e famiglie, è far comprendere che non esiste lo strumento compensativo per un bisogno specifico, ma esiste la possibilità di realizzare strumenti che vadano bene per tutti, quindi non lo strumento difficile per il bambino più capace, ma riteniamo che uno strumento sia inclusivo quando può essere utilizzato contemporaneamente da tutta la classe in modo da far sentire i bimbi parte di un gruppo e che li possa far sentire come di avere la possibilità di partire tutti dallo stesso punto per poi arrivare tutti allo stesso traguardo. Questa per noi è l’inclusione, poi dietro alla creazione di contenuti che possano essere realmente inclusivi c’è molto studio e progettazione perché bisogna tenere presente tantissimi aspetti in fase di realizzazione che riguardano anche gli aspetti tecnici e non solo redazionale di contenuti. Riteniamo, come approccio metodologico, che l’inclusione debba essere a doppio senso, non è “includiamo chi non ci arriva”, è invece realizzare ed offrire degli strumenti che possano far sentire tutti parte di qualcosa. Non esiste uno standard, tutti i bambini hanno bisogni specifici in realtà, il nostro compito è proprio quello di metterli tutti nelle condizioni di arrivare al risultato finale e quindi di superare i propri limiti, che ognuno di noi ha, per poi arrivare a potenziare i propri talenti.

Un’ultima domanda, ci può dare alcuni suggerimenti su pratiche che favoriscono l’inclusione?

Dalla nostra esperienza le pratiche che favoriscono l’inclusione sono quelle che fanno sentire il più possibile i bambini parte di una comunità, di un contesto collettivo e tutto questo è stato messo in crisi dall’esperienza abbastanza drammatica della didattica a distanza che ha aumentato, ovviamente, le disuguaglianze. Questo proprio perché non tutti avevano gli stessi strumenti per connettersi con gli insegnanti e non tutti riuscivano con quegli strumenti, come banalmente la connessione o il device, a entrare in contatto e a trovare il proprio ruolo. Per favorire l’inclusione bisogna innanzitutto favorire la socialità in classe, cercando di far partecipare i bambini il più possibile all’interno di un apprendimento collettivo. Dalla nostra esperienza abbiamo avuto modo di constatare che tutte le nuove pratiche si stanno effettivamente diffondendo nelle scuole, tale che è rimasta una piccola parte tradizionale della lezione che però è vista già come abbastanza superata. Un esempio è l’utilizzo del metodo del dibattitto, ma anche la programmazione del setting scolastico, ovvero lo studio di arredi scolastici che favoriscano gli apprendimenti, rappresenta un obiettivo. A volte però è sufficiente semplicemente una diversa distribuzione degli arredi già in possesso, perché basta disporre i banchi e le sedie in cerchio per realizzare un contesto inclusivo, senza dover per forza rivoluzionare l’arredamento dell’istituto. Ma la vera riflessione da sviluppare è cercare di includere ognuno in modo che ciascuno possa trovare il proprio ruolo al fine di dare il proprio contributo. Ritengo che questo discorso si inserisca a pieno titolo in quello che è il dibattito legato all’utilizzo dei voti che non è da sottovalutare, perché non è affatto una banalità, ma quello della valutazione è un tema da approfondire a livello di metodologia. Sappiamo perfettamente che oggi tantissimi bambini e ragazzi hanno un problema di ansia nell’affrontare la vita scolastica e se togliere il voto, che può essere percepito con così tanta angoscia come se fosse quello il risultato dell’apprendimento o come se fosse quello a qualificare la vita scolastica e anche personale dello studente, forse può essere una direzione in cui andare a riflettere. L’inclusione, a mio avviso, passa anche dal rivisitare questo tipo di metodologie partendo dalla percezione dell’utente, quindi lo studente, perché siamo di fronte a un cambiamento storico e sociale che emerge dallo studio di questi ragazzi, che non è lo stesso di quando andavamo a scuola noi. La scuola deve adeguarsi alle loro esigenze che sono mutate e ce lo stanno chiedendo in tutti i modi. Quindi è necessario un ripensamento delle metodologie attualmente in uso, anche di quelle più consolidate come appunto la valutazione vista come mera assegnazione di un voto scolastico.

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