l’effetto delle sanzioni
di Marco Imarisio, inviato a Mosca07 mag 2022
Non c’è alcuna comunicazione ufficiale, come per tutti i caduti russi dell’Operazione militare speciale. Ma anche la tecnologia dell’informazione può essere considerata una vittima della guerra che non può essere definita come tale. Se ne vanno i lavoratori del settore, ragazzi giovani che hanno capito per primi a cosa condurrà l’autarchia. «Torneremo indietro di trent’anni — racconta Maksim, giovane laureato in informatica deciso a lasciare il suo Paese —. E nel 1992 non c’erano ancora Internet e le fibre ottiche». Alla fine di marzo, durante un’audizione alla Duma dai toni accorati, Sergey Plugokarenko, capo dell’Associazione russa per le comunicazioni elettroniche (Raec) aveva detto che erano già partiti cinquantamila tecnici e programmatori di software ai quali entro la fine di aprile se ne sarebbero aggiunti settantamila. La ragione è semplice, aveva detto. Non vedono più alcuna prospettiva. Plugokarenko si sbagliava, per difetto. Secondo le stime dello stesso istituto, a oggi hanno abbandonato il Paese altri centomila lavoratori del settore. Tutti giovani sotto i 35 anni di età, nessuno dei quali convinto a restare dalle facilitazioni per l’acquisto della prima casa che Vladimir Putin in persona aveva messo sul tavolo per tamponare l’emorragia di questo comparto così importante. E forse, hanno solide ragioni per compiere questo passo.
Si ritirano anche i cinesi
Nonostante gli annunci all’insegna dell’ottimismo che sventolano come prova della buona salute dell’economia russa la stabilità del rublo, tenuto su dal capillare controllo dei capitali e da 47 miliardi di euro pompati sul mercato dalle riserve di Stato, se ne stanno andando anche i colossi dell’alleato più importante, e ingombrante, che rimane alla Russia. Senza dirlo, di soppiatto, Lenovo e Xiaomi, le due più grandi aziende cinesi di Information Technology si stanno ritirando, azzerando le consegne di materiale e richiamando i propri tecnici in patria. Tra la fedeltà alla linea del proprio governo, che aveva più volte invitato le compagnie IT presenti in Russia a resistere, e l’unico modo di evitare le sanzioni promesse dagli Usa per chi collabora con Mosca, ha vinto la logica del minor danno. Ormai non è più solo un problema delle competenze che si perdono con questo esodo di tecnici qualificati, ma di materie prime. Perché nella tecnologia le sanzioni stanno creando un effetto da cane che si morde la coda.
Il paradosso del litio
Chiamiamolo pure il paradosso del litio, il metallo solido più leggero necessario alle batterie impiegate nel campo dell’elettronica. La Russia ne possiede enormi giacimenti, che non ha mai sfruttato appieno perché era più conveniente l’importazione da diversi Paesi del Sudamerica. Adesso non arriva più nulla, fatta salva la Bolivia. Il ministero dell’Industria considera imminente la fine delle riserve. «Rischiano di bloccarsi tutti i produttori di batterie e i grandi stabilimenti siderurgici di fermarsi». Norilsk Nickel e Rosatom, i due più grandi gruppi del ramo, hanno deciso di unire gli sforzi per accelerare lo sviluppo del giacimento di Kolmozerskoye, che rappresenta da solo il 18,9% delle riserve nazionali. Il 25 aprile l’annuncio, benedetto dal Cremlino. Al massimo entro il 2024 saremo pronti, dicono i due amministratori delegati. Gli esperti frenano l’entusiasmo. Ci vogliono almeno 7-9 anni, a fronte di un investimento equivalente a un miliardo di euro. Ma per cominciare a estrarre il litio, servono tecnici capaci. Che la Russia al momento non ha. La tecnologia e le competenze necessarie sono all’estero. E così il litio rischia di rimanere sottoterra. C’era una volta quel vecchio modo di dire su chi ha il pane ma non i denti, e viceversa. Forse si riferiva agli effetti collaterali dell’autarchia.
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, 2022-05-07 22:05:00, Dal Paese sono già scappati 150 mila under 35 specialisti in software e tecnologia. «Torneremo indietro di trent’anni», è la loro paura. L’empasse sull’estrazione del litio, Marco Imarisio, inviato a Mosca