Franco Lorenzoni, maestro e innovatore didattico, su Il Libraio, riflette sulla situazione attuale di solitudine che attanaglia tanto gli studenti e le loro famiglie, tanto gli insegnanti e la scuola in generale.
Lorenzoni parte da un bisogno di aiuto chiesto esplicitamente dagli studenti. Il maestro riporta a titolo di esempio la vicenda di un gruppo di studenti di un liceo di Terni, che rispondendo all’invito della preside di indicare possibili miglioramenti per la loro scuola, ha proposto di istituire uno psicologo bidello. Uno psicologo sempre presente, in corridoio, che si possa interpellare al momento del bisogno senza passare al vaglio di insegnanti o genitori.
“Tra bidelle e bidelli, come gli studenti chiamano il personale Ata, ci sono talvolta figure che incarnano un’attenzione curiosa verso la vita di ragazze e ragazzi e che sanno entrare in relazione con loro al di là degli esiti scolastici“, osserva Lorenzoni, che prosegue: “Un numero sempre più ampio di studentesse e studenti hanno un evidente bisogno di aiuto. Se ascolto una ragazza di seconda media che dice “mi taglio le braccia per soffrire meno”, se assistiamo a una moltiplicazione geometrica di casi gravi che si presentano alle Asl e ai centri di igiene mentale, se crescono a dismisura disturbi dell’alimentazione e forme di autolesionismo o di isolamento e chiusura totale, non possiamo non pensare che ci sia qualcosa da ripensare con radicalità e urgenza nella scuola, perché la scuola è il principale e spesso unico luogo pubblico di incontro tra le generazioni“.
Lorenzoni fa un passo indietro, ricordano il periodo della pandemia: “Non appena ci siamo liberati dalle mascherine c’è stata una rimozione collettiva pressoché assoluta di ciò che era accaduto, mentre a livello individuale ragazze e ragazzi e bambine e bambini anche piccoli, si sono trovati a dovere affrontare in solitudine le conseguenze profonde di quel trauma“.
Secondo il maestro Lorenzoni “la solitudine di ragazze e ragazzi è evidente, ma diventa ancor più grave perché è incastonata tra altre due solitudini: quella delle famiglie e quella degli insegnanti. Questa distanza è alimentata ulteriormente dall’ossimoro che caratterizza il comportamento di molti genitori: un bisogno di controllo sempre più accentuato unito a una presenza incostante e intermittente. Questo vuoto, questa difficoltà di relazioni nelle famiglie, viene talvolta compensata, paradossalmente, da una difesa a oltranza di qualsiasi comportamento anche improprio di figlie e figli nella scuola. Da cui una sfiducia diffusa, che a volte sfocia in aggressività e violenza verso gli insegnanti e il loro ruolo educativo“.
Infine, “la terza solitudine riguarda noi insegnanti, in grande difficoltà nel costruire regole condivise con ragazze e ragazzi che incorporano esperienze segnate dalla difficoltà adulta di assumersi le proprie responsabilità nello stabilire confini sensati, nella vicinanza. Si arriva così a un altro paradosso. Ragazze e ragazzi pensano a volte di poter fare ogni cosa pur sapendo, con maggiore o minore consapevolezza, che li aspetta un mondo dominato da vecchi spesso incattiviti, che stanno sottraendo loro libertà e futuro, perché rimandare ogni scelta sul clima o minare le fondamenta del welfare riguarda molto concretamente la qualità della vita che li aspetta“.
“La peggiore offesa all’infanzia sta nel costringere bambine e bambini e adolescenti a trascorrere ore e ore a scuola insieme ad adulti pigri, demotivati e frustrati, a insegnanti che hanno smesso di ricercare e credere nella cultura come luogo di conoscenza di sé e leva di trasformazione individuale e collettiva“, conclude Lorenzoni.
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