Lo sguardo rivolto al passato

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Mezzogiorno, 24 agosto 2022 – 08:10 di Marco Demarco L’ultimo caso riguarda Stefania Modestino D’Angelo, candidata nel collegio di Campania 2 come capolista al Senato di Azione-Italia Viva. Un paio di suoi tweet anti-americani e filo-Lukashenko hanno provocato l’attacco dei social e l’ira funesta di Carlo Calenda, precipitatosi a chiedere scusa. Più significativo resta però quello di Marco Sarracino, segretario provinciale del Pd, esibito da Letta come l’espressione, insieme con altri giovani dirigenti, di un nuovo corso politico, e per questo anche lui indicato capolista a Napoli. Sebbene appartenga alla corrente più di sinistra del partito, risulta difficile immaginare Sarracino nei panni di un pericoloso bolscevico, ancora preso dall’ideale comunista, insensibile alle lezioni della Storia e a tutto ciò che nel tempo ci hanno raccontato Solgenitsin e Grossman, Achmatova e Politkovskaja. Eppure, questo è ciò che ci consegna l’elettoralismo della sorveglianza, come viene di definirlo. Ossia l’ultima degenerazione di quel capitalismo (della sorveglianza, appunto) di cui, non senza toni apocalittici, tanto si parla da qualche anno: un mondo dominato dalle nuove tecnologie, senza più aree riservate e libertà individuali, condannato a un eterno presente, in cui pochi sanno tutto di tutti e ne approfittano, perché di ogni nostra parola e di ogni nostro gesto restano le registrazioni, tutti gli armadi sono rovistatili e non c’è cadavere nascosto che non possa essere rivelato. Un mondo in cui, naturalmente, se tu ficchi il naso nel mio passato-armadio, io faccio lo stesso con il tuo, in una reciprocità senza fine e ricorrendo a ogni anacronismo pur di colpire basso. Sarracino è stato preso di mira da Giorgia Meloni, a sua volta già ripetutamente bersagliata, per un post pubblicato il 7 novembre 2019, pescato negli abissi del web e rilanciato oggi, al tempo della guerra in Ucraina, in modo che passato e presente possano facilmente confondersi a danno dell’autore. Poche parole, quelle di Sarracino, ma sufficienti a inneggiare alla rivoluzione russa guidata da Lenin, orgogliosamente e nostalgicamente posto in effige. Sapevano dell’esistenza nel Pd di due sinistre, una più propriamente riformista e non più ideologica, e una ancora orfana di un passato, populista e rivoluzionario, evidentemente ancora ritenuto glorioso. E sapevamo delle simpatie di Sarracino per quest’ultima. Ma ha un senso farlo passare oggi, al tempo degli smartphone e del Metaverso, per un leninista pronto all’attacco? Altri, semmai, sono i suoi «peccati». Ad esempio, essere chiamato a rappresentare i giovani in Parlamento e non aver detto una parola a Napoli, quando è stata nominata una giunta comunale senza neanche un giovane tra gli assessori. O aver scambiato la propria candidatura con quelle volute da De Luca e quelle dei tanti paracadutati in Campania, rivelando così l’estrema spregiudicatezza sia dei vecchi sia dei nuovi gruppi dirigenti: di quelli locali, disposti a tutto pur di autopromuoversi, e di quelli nazionali, pronti a cooptare i primi pur di avere campo libero nelle periferie acefale. Questi, però, sono fatti del Pd. Ci sono invece aspetti dell’elettoralismo della sorveglianza che hanno caratteri più generali e che per questo più ci riguardano. Eccone tre. Il primo. Definire il chi siamo, ovvero la nostra identità politica, diventa sempre più difficile, anche per effetto delle nuove tecnologie che tutto registrano. Siamo l’approdo ultimo o il viaggio che lo precede? Siamo l’attimo registrato sui social o tutto il resto? Siamo la nostalgia che ogni tanto ci prende o il progetto di cui ci vantiamo? Siamo la battuta a cui non riusciamo a rinunciare (si pensi a De Luca) o la prassi che la contraddice (Speranza è nel frattempo diventato un bravo ministro?). Una politica che non tenga conto di questo o che continui a sospendere la propria consapevolezza a seconda delle convenienze è già di fatto tagliata fuori dalla complessità dei tempi correnti. Continuerà, ad esempio, a sospettare Giorgia Meloni di neofascismo e a sottovalutare, invece, il suo tentativo di rappresentare il conservatorismo che intanto prende piede nel Paese. E siamo così al secondo aspetto. Che politica è quella che ha lo sguardo sempre rivolto al passato e soffre di una evidente ipertrofia della memoria? Una politica, cioè, che attribuisce agli avversari la prigionia nel passato, ma che nella prassi, per quanto riguarda sé stessa, non riesce a guardare oltre gli armadi, gli archivi, e le iconografie più o meno equivoche? Eppure, non dovrebbe essere così difficile capire che un eccesso di ritorno al passato è probabilmente il modo più efficace per dilatare il presente e rimandare il futuro. Infine, il terzo aspetto. Le nuove tecnologie sono «mezzi», il «fine» lo sceglie chi li usa. Risulta dunque un mistero perché ci si ostini a ridurle a frullatori di identità e non a strumenti funzionali al rinnovamento dei partiti. I quali — sarà bene ricordare le parole di Cassese — «vengono chiamati forze politiche, ma non sono né forze né politiche, e contano solo in quanto occupano le istituzioni». 24 agosto 2022 | 08:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA , 2022-08-24 06:11:00, Mezzogiorno, 24 agosto 2022 – 08:10 di Marco Demarco L’ultimo caso riguarda Stefania Modestino D’Angelo, candidata nel collegio di Campania 2 come capolista al Senato di Azione-Italia Viva. Un paio di suoi tweet anti-americani e filo-Lukashenko hanno provocato l’attacco dei social e l’ira funesta di Carlo Calenda, precipitatosi a chiedere scusa. Più significativo resta però quello di Marco Sarracino, segretario provinciale del Pd, esibito da Letta come l’espressione, insieme con altri giovani dirigenti, di un nuovo corso politico, e per questo anche lui indicato capolista a Napoli. Sebbene appartenga alla corrente più di sinistra del partito, risulta difficile immaginare Sarracino nei panni di un pericoloso bolscevico, ancora preso dall’ideale comunista, insensibile alle lezioni della Storia e a tutto ciò che nel tempo ci hanno raccontato Solgenitsin e Grossman, Achmatova e Politkovskaja. Eppure, questo è ciò che ci consegna l’elettoralismo della sorveglianza, come viene di definirlo. Ossia l’ultima degenerazione di quel capitalismo (della sorveglianza, appunto) di cui, non senza toni apocalittici, tanto si parla da qualche anno: un mondo dominato dalle nuove tecnologie, senza più aree riservate e libertà individuali, condannato a un eterno presente, in cui pochi sanno tutto di tutti e ne approfittano, perché di ogni nostra parola e di ogni nostro gesto restano le registrazioni, tutti gli armadi sono rovistatili e non c’è cadavere nascosto che non possa essere rivelato. Un mondo in cui, naturalmente, se tu ficchi il naso nel mio passato-armadio, io faccio lo stesso con il tuo, in una reciprocità senza fine e ricorrendo a ogni anacronismo pur di colpire basso. Sarracino è stato preso di mira da Giorgia Meloni, a sua volta già ripetutamente bersagliata, per un post pubblicato il 7 novembre 2019, pescato negli abissi del web e rilanciato oggi, al tempo della guerra in Ucraina, in modo che passato e presente possano facilmente confondersi a danno dell’autore. Poche parole, quelle di Sarracino, ma sufficienti a inneggiare alla rivoluzione russa guidata da Lenin, orgogliosamente e nostalgicamente posto in effige. Sapevano dell’esistenza nel Pd di due sinistre, una più propriamente riformista e non più ideologica, e una ancora orfana di un passato, populista e rivoluzionario, evidentemente ancora ritenuto glorioso. E sapevamo delle simpatie di Sarracino per quest’ultima. Ma ha un senso farlo passare oggi, al tempo degli smartphone e del Metaverso, per un leninista pronto all’attacco? Altri, semmai, sono i suoi «peccati». Ad esempio, essere chiamato a rappresentare i giovani in Parlamento e non aver detto una parola a Napoli, quando è stata nominata una giunta comunale senza neanche un giovane tra gli assessori. O aver scambiato la propria candidatura con quelle volute da De Luca e quelle dei tanti paracadutati in Campania, rivelando così l’estrema spregiudicatezza sia dei vecchi sia dei nuovi gruppi dirigenti: di quelli locali, disposti a tutto pur di autopromuoversi, e di quelli nazionali, pronti a cooptare i primi pur di avere campo libero nelle periferie acefale. Questi, però, sono fatti del Pd. Ci sono invece aspetti dell’elettoralismo della sorveglianza che hanno caratteri più generali e che per questo più ci riguardano. Eccone tre. Il primo. Definire il chi siamo, ovvero la nostra identità politica, diventa sempre più difficile, anche per effetto delle nuove tecnologie che tutto registrano. Siamo l’approdo ultimo o il viaggio che lo precede? Siamo l’attimo registrato sui social o tutto il resto? Siamo la nostalgia che ogni tanto ci prende o il progetto di cui ci vantiamo? Siamo la battuta a cui non riusciamo a rinunciare (si pensi a De Luca) o la prassi che la contraddice (Speranza è nel frattempo diventato un bravo ministro?). Una politica che non tenga conto di questo o che continui a sospendere la propria consapevolezza a seconda delle convenienze è già di fatto tagliata fuori dalla complessità dei tempi correnti. Continuerà, ad esempio, a sospettare Giorgia Meloni di neofascismo e a sottovalutare, invece, il suo tentativo di rappresentare il conservatorismo che intanto prende piede nel Paese. E siamo così al secondo aspetto. Che politica è quella che ha lo sguardo sempre rivolto al passato e soffre di una evidente ipertrofia della memoria? Una politica, cioè, che attribuisce agli avversari la prigionia nel passato, ma che nella prassi, per quanto riguarda sé stessa, non riesce a guardare oltre gli armadi, gli archivi, e le iconografie più o meno equivoche? Eppure, non dovrebbe essere così difficile capire che un eccesso di ritorno al passato è probabilmente il modo più efficace per dilatare il presente e rimandare il futuro. Infine, il terzo aspetto. Le nuove tecnologie sono «mezzi», il «fine» lo sceglie chi li usa. Risulta dunque un mistero perché ci si ostini a ridurle a frullatori di identità e non a strumenti funzionali al rinnovamento dei partiti. I quali — sarà bene ricordare le parole di Cassese — «vengono chiamati forze politiche, ma non sono né forze né politiche, e contano solo in quanto occupano le istituzioni». 24 agosto 2022 | 08:10 © RIPRODUZIONE RISERVATA ,

Pietro Guerra

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